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Eugenio Bernardini. «Il “Manifesto di Assisi” è assolutamente opportuno, senza dimenticare la necessità del pluralismo religioso»

«Il Manifesto di Assisi è assolutamente opportuno. Abbiamo visto in questi ultimi mesi quanto la “buona” o la “cattiva” informazione siano in grado di orientare l’opinione pubblica», spiega a Riforma.it il pastore Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola valdese, organo esecutivo delle chiese metodiste e valdesi. Il prossimo 6 ottobre ad Assisi (giorno che precede la nota Marcia Perugia-Assisi) i giornalisti italiani, insieme a operatori culturali e dell’informazione, religiosi e intellettuali, s’incontreranno per discutere e presentare il Manifesto di Assisi, un “decalogo” sulle buone pratiche della comunicazione nato per contrastare la violenza verbale e scritta diffusa soprattutto attraverso i social network. «Un manifesto – prosegue Bernardini – che tocca molti temi oggi imprescindibili, dà voce a chi è preoccupato e intende contrastare la deriva politica e sociale che sta imbarbarendo e impoverendo il nostro paese».

Quali altri focus potrebbero essere affrontati dal Manifesto?

«Non c’è alcun accenno a un tema che ritengo dirimente: ossia quello di poter giungere quanto prima a una corretta informazione religiosa, per porre fine alle troppe parole di odio che stanno contaminando il dibattito politico e “culturale” di questi ultimi anni. Una situazione anche sollecitata dalle “spinte” neo-antisemite in tutta Europa e dal terrorismo di matrice “islamista” che propone strumentalmente la predicazione dell’odio. Dunque, più che nel passato è necessario che gli informatori religiosi, i vaticanisti, e chi saltuariamente è chiamato ad affrontare tematiche religiose, possa avere strumenti a disposizione per non cadere nella “rete” che i fomentatori di odio, sapientemente e quotidianamente, predispongono ad arte. L’ultimo Rapporto redatto dalla Carta di Roma “Notizie da paura”, ad esempio, contiene un focus specifico sugli “stereotipi” e la “presenza multi-religiosa in Italia”, perché il ruolo dell’informazione si colloca in un contesto di grandi mutamenti geopolitici e in Italia, in una situazione di grave analfabetismo religioso. Dunque è importante far conoscere il pluralismo e sensibilizzare l’opinione pubblica. I fenomeni d’intolleranza sempre più frequenti – come l’odio di stampo religioso ed etnico –se non monitorati e affrontati seriamente continueranno a essere esibiti, o peggio perpetrati, in ogni ambito pubblico: dagli stadi italiani, alle scuole, alle pagine dei giornali, agli spazi pubblici, al web».

Ricorrono, proprio in questi giorni, gli ottant’anni dalle leggi anti ebraiche; le leggi “razziste”, così le ha definite su Riforma.it la presidente delle Comunità ebraiche Noemi Di Segni. Che cosa si potrebbe fare oggi, anche giuridicamente, per dare pari dignità a tutte le espressioni di fede e di religione?

«Tra le molte declinazioni della parola “libertà” certamente c’è quella religiosa: la madre di tutte le libertà. Un baluardo da seguire per contrastare tutte le oppressioni. Anche se in Italia la libertà religiosa è costituzionalmente garantita, riteniamo che non sia pienamente compiuta, un dato di fatto per tante minoranze e per le “nuove” presenze religiose. Sarebbe necessaria una “Legge Quadro per la libertà religiosa” utile a superare la vetusta legge sui “Culti ammessi” (1159/1929, ndr) del periodo fascista ancora in vigore che “tutela” chi non ha ancora stipulato l’Intesa con lo Stato italiano, ad esempio i Testimoni di Geova e le organizzazioni islamiche presenti in Italia. Come chiese metodiste e valdesi, come Federazione delle chiese evangeliche in Italia, siamo convinti che la libertà del prossimo sia l’unica garanzia per la libertà di tutti. In un tempo in cui si moltiplicano attacchi verbali e violenze contro gli immigrati, i richiedenti asilo, gli uomini e donne di colore, abbiamo immediatamente contestato la recente proposta per l’abolizione della Legge Mancino; una richiesta dal sapore ideologico e di tolleranza benevola nei confronti di chi adotta un linguaggio o un comportamento antisemita, razzista e discriminatorio. Come minoranza che ha subito violenze e discriminazioni la Chiesa valdese si è subito associata alle preoccupazioni espresse dall’Unione delle comunità ebraiche italiane che ha ritenuto il progetto “un’offesa intollerabile alla memoria antifascista e antinazista del Paese”».

Il Manifesto di Assisi è un decalogo che ricalca i Dieci comandamenti e apre con questo invito: «Non scrivere degli altri ciò che non vorresti fosse scritto di te»; lei oltre a essere un pastore e teologo è anche giornalista. Qual è la sua opinione, per usare un’espressione giornalistica, sull’“attacco” che è stato volutamente utilizzato?

«Mi ha molto colpito l’accezione negativa, giusta, ma che certo Gesù avrebbe girato in positivo: “Scrivi degli altri ciò che vorresti fosse scritto di te”. Tuttavia è efficace perché ci ricorda quanto oggi sia una prassi elementare l’essere tranchant o negativi verso il prossimo davanti a una tastiera del Pc o nei quotidiani commenti. È necessario ricordarci, sempre, che quando scriviamo o commentiamo fatti, cose, avvenimenti, i nostri referenti e “protagonisti” sono delle persone e che, come tali, meritano rispetto anche quando come giornalisti  o commentatori, come pastori nelle nostre predicazioni, siamo chiamati a denunciarne gli abusi e le ingiustizie. Il secondo invito del manifesto ci ricorda di “non temere le rettifiche”; un invito altrettanto importante perché investe la dimensione del perdono, del saper chiedere scusa quando si sbaglia o si offende qualcuno. Un punto che afferma anche quanto il dialogo possa essere costruttivo e utile per creare ponti e portare al cambiamento».

Seguono nel decalogo gli inviti al positivo: «Dai voce ai più deboli; impara a dare i numeri; le parole sono pietre, usale per costruire ponti; diventa “Scorta mediatica” della verità; non pensare di essere il centro del mondo; il web è un bene prezioso, sfruttalo in modo corretto; connettiti con le persone; porta il messaggio nelle nuove piazze digitali»

«San Francesco portando il suo messaggio dalle chiese alle piazze, proprio come Valdo, decise che era necessario compiere un’opera simbolica di grande rilevanza e tipica di un cristiano: andare a trovare il “nemico” e “rivale” Sultano d’Egitto. “Sdoganando” di fatto, un’idea essenziale, quella di rivolgersi anche a chi si ritiene avversario, raggiungerlo e incontrarlo per offrirgli la possibilità di un confronto dialogico, per giungere a una sintesi. Oggi le diversità di pensiero, di opinione e di progetto, sono spesso ritenute illegittime agli occhi degli uni e degli altri. Un dato, questo, che non consente di attuare mediazioni e soluzioni utili alle società per progredire. La contrapposizione “non dialettica”, ossia quella che rifiuta ogni mediazione, non può che portare al conflitto».