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Mario Fischer: la voce comune dei protestanti europei

Si apre oggi a Basilea (Svizzera) la VIII Assemblea generale della Comunità di chiese protestanti in Europa (Ccpe), organismo che comprende 94 chiese luterane, metodiste, riformate e unite del continente in rappresentanza di circa 50 milioni di cristiani protestanti. Sui temi dell’assise e sulle prospettive del protestantesimo europeo abbiamo intervistato il pastore Mario Fischer, segretario generale designato della Ccpe.

Quali saranno i temi principali dell’Assemblea?

I temi all’ordine del giorno sono molteplici e riguardano sia la testimonianza e l’impegno delle chiese protestanti nelle società europee – un ambito che va dalla bioetica alla presenza dei migranti nelle società e nelle chiese – sia questioni più prettamente teologiche come la comunione ecclesiale che, per semplificare, consiste nel chiedersi quanto i protestanti europei siano connessi tra loro.

Può spiegare meglio quest’ultimo punto?

La Ccpe è un esempio riuscito di “unità nella diversità”. Le chiese che fanno parte della nostra Comunità riconoscono i ministeri e i sacramenti le une delle altre, c’è tra loro un pieno riconoscimento ecclesiale pur rimanendo chiese indipendenti. La domanda, ora, è come questa comunione si possa esplicitare nella vita delle chiese e come il riconoscimento reciproco porti le diverse chiese alla consapevolezza di essere chiesa insieme in Europa. Da parte dei membri della Ccpe c’è senz’altro la volontà di lavorare insieme e di trovare sui più diversi argomenti una voce comune dei protestanti europei.

Il protestantesimo è da sempre caratterizzato più per la sua pluralità che non per la sua unità. E’ davvero possibile per i protestanti europei riuscire a parlare con un’unica voce?

In effetti, è difficile poter offrire un’unica voce, in ragione del fatto che il protestantesimo è da sempre caratterizzato da prospettive diverse su un certo numero di temi. La Ccpe si pone come uno spazio in cui le chiese discutono e condividono le loro posizioni, talvolta diverse. Un esempio è il lavoro svolto sul tema dell’eutanasia quando, nel 2009, le istituzioni europee ci hanno chiesto di esprimere una posizione su quel tema.

Ci siamo trovati allora ad ascoltare le posizioni dei protestanti olandesi che ritengono l’eutanasia un diritto dell’individuo, e le posizioni dei protestanti tedeschi per cui la parola eutanasia è inaccettabile perché con essa si identifica il progetto di sterminio del III Reich.

Ne è uscito un documento che raccoglie tutto ciò che i protestanti europei possono dire insieme sul tema e al tempo stesso sottolinea le diversità su un tema complesso rispetto al quale è più che legittimo riscontrare differenti conclusioni.

Uno dei documenti all’ordine del giorno dell’Assemblea è quello sulla teologia della diaspora. Di cosa si tratta?

A mio parere è il documento più interessante che sposta la prospettiva teologica dalle grandi chiese di popolo o di stato del nord Europa alle chiese di minoranza, come possono essere quelle italiane, che vivono nella dispersione, cioè nella diaspora. La forza delle chiese di maggioranza è la capacità di influenza nelle rispettive società e il rapporto con le istituzioni. La forza delle chiese di minoranza sta invece nell’efficacia del loro messaggio e nella loro capacità di mantenere relazioni a livello internazionale con altre chiese sorelle.

In un’Europa sempre più plurale e secolarizzata, il modello della diaspora è sicuramente più efficace. Oggi, molte chiese di maggioranza stanno scoprendo di essere minoranza nei loro rispettivi paesi, una prospettiva che cercano di arginare con fusioni tra chiese, ripensamento delle strutture. La teologia della diaspora ci spinge invece a cercare nuovi modi di essere chiesa in Europa e di ripensare la nostra missione. La parola greca “diaspora” in realtà indica il seme gettato per portare frutto.

L’anno scorso ricorreva il Cinquecentenario della Riforma protestante. Qual è il suo giudizio sulle tante iniziative intraprese in tutta Europa per marcare questo anniversario?

Il Cinquecentenario della Riforma ha dato visibilità al protestantesimo ovunque in Europa; ha rafforzato e approfondito i legami ecumenici; e ha anche reso più salda la relazione tra i protestanti europei. La Ccpe ha cercato molto di sottolineare la dimensione europea – ed anche urbana – del movimento protestante attraverso la rete di Città europee della Riforma.

Questa iniziativa ha creato un gran numero di relazioni tra chiese e città, una rete che intendiamo sviluppare ulteriormente tanto che nel 2021 si terrà alla Wartburg, la località della Germania dov’è situato il castello dove Martin Lutero ha tradotto il Nuovo Testamento in lingua tedesca, un incontro delle Città europee della Riforma.