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Gianavello, «invictus» valdese

C’è una poesia del poeta inglese W. E. Henley che Nelson Mandela amava particolarmente, e che durante i lunghi anni di prigionia gli fu di sostegno, scelta non a caso come titolo del film di Clint Eastwood su di lui: Invictus, indomito, invitto (cioè non vinto), tradotto in italiano con il più immediato (ma meno esatto) «invincibile». Una poesia in cui forse si sarebbe riconosciuto Gianavello, anche se, da uomo del Seicento, probabilmente ne avrebbe cambiato gli ultimi versi in «Lui è il padrone del mio destino; Lui è il capitano della mia anima», riconoscendo a Dio la sovranità sulla propria vita.

A questo viene da pensare ascoltando la storica Bruna Peyrot (l’intervista integrale si potrà trovare sul blog di Voce delle Chiese di Radio Beckwith evangelica nei prossimi giorni) del gruppo «Janavel 400», promotore delle iniziative legate al 400° anniversario dalla nascita del «capitano valdese» (1617-1690), nonché autrice, insieme a Massimo Gnone, del romanzo Gianavello bandito valdese, pubblicato dalla Claudiana.

La prossima e forse più importante iniziativa sarà l’esposizione dal 29 settembre, alla Civica Galleria «F. Scroppo» di Torre Pellice, di una mostra di documenti legati alla storia valdese del Seicento e alla figura di Gianavello, tra cui innanzitutto le Istruzioni militari conservate all’Archivio di Stato di Torino, e altri manoscritti provenienti dallo stesso Archivio (ben 24), dalla biblioteca della Fondazione centro culturale valdese e da altri archivi, privati e pubblici. Tra questi, una lettera di Gianavello al cognato, in italiano, relazioni scritte dalle spie sulla situazione nelle valli, e alcuni degli editti più duri contro i valdesi, che portarono ai massacri delle cosiddette «Pasque Piemontesi» (1655), alla deportazione e all’esilio (1686).

Dai documenti emergono anche dati sociologici importanti: statistiche sulla popolazione locale, la sua composizione e le sue attività, informazioni sul comportamento dei ribelli e dei loro pastori, e, per quanto riguarda gli scritti di Gianavello, sottolinea Peyrot, una profonda conoscenza del territorio: «Nella lettera al cognato dà istruzioni su come tenere la casa, come gestire i raccolti, invia messaggi a determinati membri della famiglia. È un modo di mantenere il contatto con chi è rimasto a casa, e sono temi tipici delle lettere dei migranti, che si ritroveranno anche nel XIX secolo. Con le Istruzioni è come se scrivesse alla sua famiglia allargata, rivolgendosi ai confratelli esuli come lui, in Svizzera o nei principati tedeschi. Scrive dando istruzioni sulla terra che vogliono riprendersi, e la conosce molto bene per poterla descrivere a memoria… leggendo ci si rende conto che ogni frase presuppone un grandissimo sapere riguardo al mondo naturale e alla natura umana».

Fondamentale, nell’organizzazione di questo evento, la disponibilità e la collaborazione prima dell’Archivio di Stato, poi del Comune di Torre Pellice, quindi di vari altri soggetti ed enti del territorio coinvolti.

L’eccezionale esposizione di questi documenti e il loro ritorno, seppure temporaneo, nei luoghi che ne hanno visto almeno idealmente la nascita, è infatti un’operazione culturale di ampio respiro, che vuole andare al di là del territorio, in cui però è molto radicata e a cui si rivolge in prima battuta. «L’incontro con questi documenti, che non sono usciti dai faldoni per trecento anni», osserva Bruna Peyrot, «sarà sicuramente importante ed emozionante per chi ama studiare la storia sulle fonti, e per chi abita in queste valli». Chi conosce la storia di Gianavello «identifica in lui un personaggio importante per la resistenza di questa terra, ma anche per la sua identità, perché questo è un personaggio che esprime molte cose, ha una personalità complessa».

L’entusiasmo riscontrato dagli organizzatori, man mano che il lavoro procedeva, stimola alcune considerazioni: «La figura di Gianavello offre in queste valli e per queste valli il profilo umano di un personaggio che, anche se ha perso, non è stato sconfitto. Non un eroe ma un resistente, un “attivista” del Seicento, che ha saputo andare in esilio quando era il momento, ma non ha mai rinunciato a realizzare il suo obiettivo, ritornare nella sua terra. Questo è un esempio di grande positività, in una valle che negli ultimi 50 anni è stata identificata forse troppo, anche se con delle ragioni, all’interno di un profilo diaconale di assistenza agli anziani. Un personaggio come Gianavello riporta alla storia: porre in un territorio la riflessione sulla propria storia significa andare alle radici della propria identità, e questo genera sempre un interesse profondo, smuove sempre qualcosa. La gente comincia a riflettere su un’identità più ampia di quella del singolo, e questo è importante».

La mostra si potrà visitare fino al 3 novembre alla Galleria «F. Scroppo» di Torre Pellice. Sabato 28 settembre alla Foresteria valdese di Torre Pellice sarà proposta una cena di autofinanziamento, con menu seicentesco curato dagli chef Walter Eynard e Andrea Benazzo, preceduta da una visita in anteprima dell’esposizione. Ci si può prenotare alla libreria Claudiana di Torre Pellice o via mail: istrgianavello2018@yahoo.com.