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Quando l’odio scorre «nella rete»

Ieri su Riforma.it abbiamo pubblicato l’articolo ripreso dal sito di Articolo 21 della giornalista Antonella Napoli: Erdogan, la stretta sui curdi e sull’informazione, dedicato al tema della libertà d’espressione e d’informazione in Turchia. Oggi apprendiamo dell’aggressione «via social» che l’ha investita. Napoli, giornalista e membro dell’ufficio di presidenza di Articolo 21, sempre ieri ha commentato l’ascesa del partito neonazista in Svezia e in pochi minuti è stata oggetto di offese e aggressioni verbali di stampo sessista per avere stigmatizzato su Twitter l’ondata di neofascismo che avanza in Europa.

Ovviamente, la redazione di Riforma.it invia a Antonella Napoli tutta la sua solidarietà e vicinanza e come «scorta mediatica» non smetterà di rilanciare i suoi articoli. «Siamo di fronte a una escalation di odio inaccettabile di fronte al quale la solidarietà non basta. Occorre andare oltre, uscire una volta per tutte da un malinteso – si legge sul sito di Articolo 21 –. Quello secondo il quale il web e i social sono luoghi dell’impunità. Si può essere d’accordo o meno sul contenuto di un articolo: il lavoro giornalistico è sicuramente criticabile ma gli insulti, le minacce, il linguaggio sessista non hanno nulla a che vedere con la libertà di manifestare il proprio pensiero che è garantita dall’Articolo 21 della Costituzione, che noi difendiamo da sempre».

Un male, quello dell’odio che circola sul web che tocca l’Europa e il mondo intero. Infatti è notizia dei giorni scorsi che un giornalista su sei anche in Finlandia, ha subito attacchi sui social network. La notizia è stata diffusa dal sindacato dei giornalisti Rai (UsigRai), con un bell’articolo di Monica Pietrangeli. Il dato emerge dal sondaggio commissionato dal sindacato di categoria del paese scandinavo Ifj relativo all’anno 2016. Gli attacchi sui social network sono spesso indirizzati a temi sensibili quali, l’immigrazione, la politica, l’appartenenza etnica, religiosa e sessuale. Le redazioni, ricorda Pietrangeli, sono dunque «corse ai ripari, sviluppando misure di contrasto efficaci. Interessante e molto avanzato il progetto del servizio pubblico finlandese Yle che ha introdotto una sorta di management delle comunità virtuali; un gruppo specializzato di amministratori del dialogo con il pubblico incaricato di sviluppare nuovi modelli di discussione. Il tentativo – prosegue l’articolo – è creare sui diversi social media una cultura più sana del confronto mettendo a disposizione della platea riflessioni sulle ragioni che inducono a riversare la rabbia nella rete.

L’esperimento è stato oggetto di studio da parte dell’Ipi (International Institute of Press) che ha realizzato un’interessante intervista con il responsabile del progetto Yle Sami Kovisto». L’indagine Ipi sul giornalismo ai tempi dell’odio nella rete realizzata in Finlandia, evidenzia quanto la situazione sia analoga a quella di altri paesi europei e degli Stati Uniti. Lo studio Ipi presenta due focus particolarmente interessanti: «uno riguarda le molestie indirizzate alle giornaliste – prosegue Pietrangeli –, una forma particolare di odio verbale legato al genere. Un aspetto che nuovamente accomuna la Finlandia ad altri paesi. La violenza sessuale, seppure subita in modo virtuale crea maggiore stress rispetto a quanto vissuto dai colleghi maschi e anche il supporto da parte di capi e editori è di molto inferiore e spesso insufficiente. L’altro focus riguarda i professionisti freelance i quali, mancando il supporto di un editore, vivono gli attacchi di odio in completa solitudine».

Pochi giorni fa la giornalista Sara Lucaroni della redazione di Avvenire è stata bersaglio sui social di pesanti minacce da parte di gruppi di estrema destra per alcuni articoli sulla situazione in Siria. «La collega Lucaroni – hanno dichiarato il presidente e il segretario della Federazione nazionale della stampa Italiana (Fnsi), Giuseppe Giulietti e Raffaele Lorusso – si è limitata a fare quello che per troppe persone ormai è considerata una fastidiosa attività: raccontare i fatti. Ha svolto il suo lavoro di giornalista in tempi di fake news, post verità e “fatti alternativi”; un’attività di cui sempre più si sente il bisogno. Perché solo con un’informazione certificata e basata sui fatti e non sulla propaganda politica i cittadini possono criticamente e liberamente farsi un’opinione su quello che accade. Piaccia o meno ai facinorosi da tastiera di turno». I fondatori di Internet avevano in mente una democrazia partecipata e non dimezzata o ridotta a mera sloganistica a effetto. «Nel magma dei social viene meno ogni criterio qualitativo – ricorda l’esperto di comunicazione Vincenzo Vita –. Il rapporto tra vero e falso si snatura e trionfano le fake news» e sul ruolo dei troll (nel gergo di Internet e in particolare delle comunità virtuali, è un soggetto che interagisce con gli altri tramite messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente senza senso e/o del tutto errati, con il solo obiettivo di disturbare la comunicazione e fomentare gli animi) «stranieri o italiani che siano – prosegue infine Vita –, sarebbe opportuna una commissione d’inchiesta decisa da Camera e Senato».