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Erdogan, la stretta sui curdi e sull’informazione

Una delle pagine più buie della Turchia è stata scritta ieri nell’indifferenza dell’opinione pubblica turca e ancor meno dell’attenzione internazionale.

Due dei più importanti, e tra i pochi rimasti, baluardi a difesa della democrazia e della libertà di espressione nel Paese hanno subito «l’attacco finale».

Il primo è un simbolo dell’opposizione e si chiama Selahettin Demirtas. Persona che ha deciso di contrastare la strada dell’autocrazia intrapresa dal presidente Recep Tayyip Erdoğan, che imbavaglia le voci libere e arresta coloro che tentano di frenare il pensiero unico dominante e la deriva autoritaria in atto.

L’altro è un giornale, il più importante quotidiano di opposizione turco, il Cumhuriyet, tra i pochi a mantenere viva una linea editoriale indipendente.

Demirtas, ex co-leader del Partito democratico del popolo, forza politica di riferimento della comunità curda, è stato condannato a quattro anni e otto mesi di carcere per terrorismo. Per la Corte avrebbe fatto «propaganda a favore di un’organizzazione terroristica».

La stessa sorte e imputazione, è toccata all’ex deputato Sirri Sureyya Onder che ora dovrà scontare tre anni e mezzo di carcere.

La colpa del leader curdo Demirtas? Aver tenuto un discorso pubblico nel 2013 durante il quale era intervenuto anche il parlamentare Onder (in occasione della festività del Nevruz), aver difeso le politiche del suo partito e criticato il governo.

Erdogan, per questo, non l’ha perdonato.

Da quel momento, nei confronti di Demirtas e della sua formazione politica – la terza in termini numerici in Turchia – è iniziata una vera e propria persecuzione, sia politica sia giudiziaria, fino ad arrivare all’arresto lo scorso novembre 2016 insieme ad altri 13 deputati dell’Hdp.

Quello di ieri è solo il primo dei tanti processi a carico di Demirtas. L’ex presidente del partito filo-curdo «sul proprio capo» vede pendere altre trenta imputazioni.

L’altro riferimento d’opposizione a Erdogan e al quale è stato inflitto un duro colpo, è il giornale più antico della Turchia, il Cumhuriyet, da tempo nel mirino del regime.

Proprio nel giorno in cui è giunta la condanna al leader del Partito democratico curdo il controllo della storica testata –  dopo una lunga assemblea della fondazione che edita il quotidiano – è passato nelle mani della linea kemalista, scalzando così la linea liberal.

Oggi, dunque, ai vertici della società che controlla Cumhuriyet c’è uno degli accusatori del giornale e dei suoi giornalisti. Per quelle denunce 20 redattori sono tutt’ora sotto processo per terrorismo e 13 sono stati condannati a pene che vanno dai 7 ai 3 anni di carcere.

Alev Coşkun, questo il nome del nuovo presidente, è stato per molto tempo redattore di Aydınlık Daily, una pubblicazione di riferimento del Fatherland Party (formazione politica di estrema destra), per poi approdare al quotidiano, dove lavora da 22 anni e di cui oggi è il nuovo responsabile legale del consiglio di amministrazione.

Unico elemento di garanzia per il giornale sarà forse rappresentato dal nuovo caporedattore che subentrerà all’attuale Murat Sabuncu: si chiama Aykut Küçükkaya. Un giornalista turco molto rispettato dai colleghi, l’unico professionista turco ad aver ricevuto i tre maggiori premi giornalistici per il suo lavoro d’informazione.

Il giornale e la sua indipendenza politica sembrano tuttavia destinati a cambiare. Quanto si «ammorbidirà» la voce critica, libera nei confronti del governo, lo scopriremo nei prossimi mesi. Di certo, il governo potrebbe trarre vantaggi dalla posizione fortemente kemalista di chi gestirà il «nuovo» Cumhuriyet. Quella retorica nazionalista di cui l’Akp, il partito di maggioranza guidato da Erdoğan, ha bisogno, per coprire il caos che ha investito il Paese con la crisi economica, è esercitare continue pressioni nei confronti di chi intenda esprimere qualsiasi forma di dissenso.

Tratto da articolo21.org