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Una chiesa piccola, ma «coraggiosa, creativa e perseverante»

Nel pomeriggio della prima, intensa, giornata di lavori sinodali, è avvenuta la consegna della medaglia che simboleggia il Premio internazionale per la pace (World Methodist Peace Award) assegnato nel 2017 alle chiese metodiste italiane, insieme alla famiglia Nassar, per il suo impegno a Betlemme con la «tenda delle nazioni» (lo avevamo annunciato qui ).

Il premio, annunciato in occasione del Consiglio mondiale metodista (Wmc) nel corso dell’incontro tenutosi a Seul dall’11 al 18 agosto, è stato consegnato alla pastora Mirella Manocchio, presidente dell’Opera per le chiese metodiste evangeliche in Italia, già presente a Seul (ne avevamo parlato qui ) dal segretario generale del Consiglio metodista mondiale, il vescovo Ivan Abrahams.

La vicepresidente dell’organismo internazionale, Gillian Kingston, intervenuta prima della consegna per salutare l’assemblea delle chiese metodiste e valdesi italiane, ha ricordato la storia e le motivazioni del premio, creato nel 1976 a Dublino durante un incontro del Wmc, per premiare il lavoro «coraggioso, creativo e perseverante» di persone e organizzazioni. Gillian Kingston ha espresso apprezzamento per il lavoro congiunto che metodisti e valdesi compiono in Italia, combinando due storie e tradizioni molto diverse fra loro, e ha ribadito l’importanza di procedere insieme nella missione («L’unità e la missione vanno a braccetto»).

La motivazione del Premio ai metodisti italiani cita il lavoro svolto dalla Casa delle culture a Scicli, ma intende valorizzare un lavoro ventennale a fianco delle persone migranti. E su questo fronte la pastora Manocchio ha ricordato, nel suo discorso di ringraziamento, le prime attività di accoglienza svolte a Palermo negli anni precedenti, con progetti strutturati finalizzati all’integrazione: l’accoglienza si è poi diffusa sul territorio italiano, ha ricordato Manocchio, con esperienza complesse, «in un cammino con le chiese valdesi che ha avuto influssi culturali, sociali, politici», per giungere infine al progetto comune alle altre chiese evangeliche membri della Fcei, Mediterranean Hope, e ai corridoi umanitari.

Quella del premio è l’occasione, secondo la pastora Manocchio, per ringraziare tutti quanti si sono adoperati e continuano a farlo nell’accoglienza e nella promozione di una cultura di pace.

Ma c’è ancora molta strada da fare, ha concluso la presidente Opcemi: ad esempio nel dramma dello sfruttamento dei lavoratori, «uno scandalo di fronte al quale non ci è concesso chiudere gli occhi: è nostro impegno di credenti proseguire su questa strada e accogliere le sfide che il Signore ci porrà davanti».

Nella foto di Pietro Romeo: Ivan Abrahams, Gillian Kingston e Mirella Manocchio