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Il posto giusto in cui stare

«Voglio contestare immediatamente la categoria che sta nel cuore di questo incontro, che è stato intitolato “Costruire la solidarietà”. La solidarietà, una splendida virtù ,presuppone però un rapporto impari: è sempre un atto o un pensiero di chi, disponendo di molto, decide di elargire una parte di quel molto a chi non ha nulla. La solidarietà implica una disuguaglianza e rischia per ciò di rimanere sempre nell’ambito dell’elargizione». Con questa provocazione ha voluto aprire il proprio intervento Luigi Manconi, onorevole per molte legislature e fondatore dell’associazione “A buon diritto”, ospite dell’incontro organizzato da Diaconia valdese (Csd), Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) e Mh- Mediterranean Hope, che si è tenuto oggi lunedì 27 agosto in concomitanza con i lavori del sinodo delle chiese metodiste e valdesi in corso a Torre Pellice (To) dal 26 al 31 agosto.

Meglio dunque, secondo Manconi, «riferirsi al concetto di reciprocità, a mio avviso il fondamento della comunità umana. Il destino dell’individuo non è segnato, all’origine, verso un esito di socialità immediata; prevale invece una tendenza all’isolamento e alla solitudine. A far compiere un passo decisivo verso la mutualità, la condivisione, è lo stato di pericolo. E’ ciò a mostrare la nostra vulnerabilità. Qui nasce la relazione fra gli esseri umani che poi si declina in differenti modalità». «In questi 24 mesi – ha concluso Manconi – è stato insidiato proprio il diritto-dovere al soccorso, al mutuo soccorso, a una mutualità che supera la solidarietà. Oggi, dopo che le attività delle Ong nel Mediterraneo sono iniziate nel 2015, e dopo tante parole e tante intimadazioni, e dopo un’ indecente attività di denigrazione, non c’è un solo appartenente a queste organizzazioni è stato rinviato a giudizio per un qualsivoglia reato. Questo mi autorizza a dire che queste finora non hanno nulla da eccepire sul proprio operato, e invece stanno mettendo in atto un’irrinunciabile manifestazione di mutuo soccorso destinata a salvare una vita umana, e con essa, il mondo intero».

Ad aprire il dibattito è stata Marta Bernardini, operatrice di Mediterranean Hope sull’isola di Lampedusa: «è questa un’occasione voluta per offrire un momento di riflessione su quanto le nostre chiese stanno vivendo in questi anni, su quale sia l’impegno sociale che stiamo mettendo in campo, con particolare riferimento al quadro delle migrazioni in Europa».

Paolo Naso, coordinatore del programma Mediterranean Hope della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, ha ripercorso gli ultimi cinque anni di profondo impegno delle chiese protestanti italiane sul fronte dell’accoglienza «terribilmente scossi dalla tragedia al largo di Lampedusa nell’ottobre 2013. Quei 368 morti interrogavano anche tutti noi. Da qui la scelta di impegnarci a tutto campo, con il grande sostegno della Chiesa valdese e delle altre chiese della Fcei. Decidemmo che a Lampedusa prima, nell’intero Mediterraneo poi, dovevamo starci. E il ringraziamento non può che andare ai tanti, volontari e no, hanno messo in discussione le proprie vite per dare una mano, un sostegno, a questa idea».

Francesco Sciotto, pastore nelle chiese di Scicli e Pachino (Rg) e membro Csd, è partito dall’episodio dell’Indemoniato di Gerasa (Marco 5, 1-20) per introdurre un termine «centrale nei nostri ragionamenti: la marginalità. Uno degli aspetti caratteristici dell’operato della Diaconia è proprio connesso alle marginalità, con un’attenzione particolare rivolta in condizione di esclusione sociale. Penso alle disabilità, ma non solo per chi ne è colpito in prima persona; penso alle loro famiglie, spesso lasciate sole davanti a sfide troppo grandi e a quanto in questo campo è stato messo in piedi al centro diaconale “La Noce” di Palermo. Penso a strutture come “Il Melograno” di Firenze, aperta per offrire un tetto e una speranza a chi si trova in una situazione di esecuzione penale esterna. L’accoglienza negli ultimi anni rientra a pieno in questa idea di fondo: la volontà di evitare che la marginalità si trasformi in esclusione. La risposta entusiastica delle piccole chiese, delle piccole comunità locali che testimoniano e si riscoprono, è uno dei doni collaterali di queste scelte».

Il pastore di Roma, Marco Fornerone, ha invece raccontato la personale esperienza di aiuto offerto sulla nave Open Arms dell’Ong spagnola Pro Activa: «Insieme a me era presente uno spaccato assai vario della società civile, ognuno con le proprie storie e esperienze. In quanto pastore e in quanto credente ho ritenuto che quello fosse esattamente il posto in cui dovevo stare, in cui potevo testimoniare fattivamente la mia fede. Con il fare».

Foto: Pietro Romeo