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Diaconia e servizio; coesistenza e convivenza

Si è appena conclusa la prima parte della giornata di studi intitolata a Giovanni Miegge.

«Le Chiese e il loro servizio nella società» è l’argomento affrontato oggi, venerdì 24 agosto, sotto la conduzione del pastore Marco Fornerone, con gli interventi della pastora Erika Tomassone, presidente della Fondazione Centro culturale valdese di Torre Pellice e ente organizzatore della giornata in collaborazione con il Corpo Pastorale, quelli di Eric Noffke, professore di Nuovo Testamento alla Facoltà valdese di teologia (Servire i santi: diakonia nel Nuovo Testamento) e Francesco Remotti, antropologo, professore emerito (Coesistenza e convivenza: stare insieme o progettare insieme).

Tomassone, per parlare di diaconia, è partita dal mondo greco. «In quell’ambito la diaconia è intesa come servire a tavola o provvedere al sostentamento. Oggi il termine significa anche altro ma è da questo che dobbiamo partire: diaconia e servizio come struttura della relazione. Il servire non è prestare aiuto mantenendo lo status sociale, questa è l’azione del benefattore mentre la diaconia prevede la rinuncia al proprio status». Tomassone ha poi concluso il suo intervento attualizzando sull’accoglienza dei migranti il nodo della diaconia e del cambiamento di status. «Dobbiamo rimettere al centro la predicazione che spieghi cosa sia il servizio, che formi ed educhi le persone a questo: all’estero ciò accade da tempo forse è arrivato anche per noi il momento di discuterne, non tanto sull’accoglienza ma sul cambiamento di paradigmi».

Nofke ha analizzato invece la presenza del termine «diakonia» e dei suoi derivati all’interno del Nuovo Testamento. «È una parola usata frequentemente nei testi in greco nonostante Gesù parlasse aramaico, con molte sfumature». Nofke ha portato molti esempi di testi che utilizzano il termine (in Marco 9, versetto 33 «Se qualcuno vuol essere il primo, sarà l’ultimo di tutti e il servitore di tutti») per poi spiegare come esso venga usato anche in ambiti non strettamente legati al mondo della chiesa. «Il diacono – aggiunge Nofke – è una persona di cui ci si fida, non solo uno “schiavo”. La parola viene utilizzata anche come nome proprio di persona, con un’accezione quindi positiva mentre meno certezze si hanno sul ruolo che svolgeva il diacono: per noi è qualcosa rivolto verso l’esterno mentre forse in quei tempi guardava anche molto all’interno».

A concludere la mattinata Remotti che ha analizzato in modo chiaro due aspetti: quella della coesistenza e quello della convivenza. «Coesistere va di pari passo con tollerare. Ma tollerare, come diceva Goethe, è un po’ come un insulto. Per chi tollera può sembrare bello ma proviamo a metterci dalla parte di chi invece viene tollerato… Ma soprattutto fino a quando dura la tolleranza? È facile iniziare a scivolare verso l’indifferenza, il disprezzo, la segregazione, il respingimento e l’annientamento. Il nazismo nei confronti degli ebrei è un chiaro esempio di questo scivolamento. E oggi in Italia ci sono alcuni campanelli d’allarme al riguardo». Parlando invece di convivenza Remotti ha introdotto anche la parola «somiglianza». «La convivenza si regge sulla somiglianza, non solo sul sentimento. La convivenza porta a interesse, relazione, coinvolgimento, dipendenza reciproca, progettazione comune. Certo, non è sufficiente dirlo, bisogna coltivarlo e curarlo questo modo di vivere che però si differenzia fortemente da quello dove regna sovrana la parola identità, che impedisce la convivenza». E Remotti ha chiuso la prima parte della giornata sostenendo che «se vogliamo convivere fra uomini prima bisogna convivere con la natura che ci circonda e non sfruttarla». Dopo le relazioni introduttive, il pomeriggio ha preso corpo un vivace e partecipato dibattito a testimonianza di quanto il tema – “Le Chiese e il loro servizio nella società” – sia avvertito come urgente per una riflessione approfondita, pacata e ricca di nuovi spunti e prospettive.

Raccogliendo l’invito a prestare attenzione a una “politica delle somiglianze”, introdotta dall’antropologo Francesco Remotti, il dibattito pomeridiano ha posto l’accento sulla facoltà di operare una scelta nel momento in cui incontriamo un essere umano che ha una storia diversa dalla nostra ma il cui racconto può arricchire entrambi. Accogliendo la complessità di cui sono portatori gli altri, le relazioni consentono allora un reciproco coinvolgimento in un progetto comune: è importante sottolineare che per arrivare a questo è necessario uno spazio e un tempo per l’apprendimento delle tecniche della convivenza, per l’esercizio della diversità che fa tesoro degli errori e delle difese anche psicologiche che tutti e tutte sperimentiamo ma la consapevolezza dei quali consente di costruire relazioni solide, basate sulla fiducia.

Queste tematiche sono state ampiamente riprese a seguito della relazione di Davide Rosso su “Il servizio delle chiese nel mondo. Una prospettiva diacronica”, che ha ripercorso le trasformazioni della diaconia e del lavoro missionario nel Novecento, e degli interventi di Daniela Di Carlo e di Paola Schellenbaum su “La vocazione della chiesa nella società” che hanno offerto una lettura trasversale e interdisciplinare dei contenuti delle relazioni, mettendo in luce la centralità della predicazione e le sinergie affinché il servizio nella società possa rinnovarsi e suscitare nuove vocazioni. Alberto Corsani è intervenuto sui rischi di regressione del dibattito pubblico nel nostro Paese, introducendo anche gli spunti che ci provengono dalla letteratura (vedi “L’età del ferro” di J. M. Coetzee) e Bruna Peyrot ha aggiunto alcune riflessioni sull’importanza della formazione e della pedagogia per una dimensione intergenerazionale. Marco De Pasquale ha messo in guardia rispetto alle forze del rancore invitando però a rivolgere l’annuncio della grazia a ognuno e a ciascuna, per affrontare la sofferenza e il malessere comune a tutti e a tutte. Daniele Garrone ha confermato la distinzione nell’Antico Testamento nella nozione di servizio tra diacono e schiavo riaffermando con forza la necessità di un superamento tra interno ed esterno in quanto il contesto sociale offre innumerevoli possibilità per mettersi al servizio degli altri, sia dentro alle chiese che fuori nella società. Ha inoltre ricordato come nella Bibbia l’identità sia la chiamata a uscire, come per Abramo, e rivolgersi agli altri.

L’azione diaconale che diviene politica è stata al centro di numerosi interventi che si sono soffermati sull’attualità: Massimo Marottoli ha colto il nesso tra l’ossessione identitaria che avvelena le relazioni e l’agire politico che costruisce relazioni, Gregorio Plescan e Laura Testa hanno, da una parte, reso attenta l’assemblea della necessità di rivolgersi agli ultimi anche tra la popolazione italiana e non solo tra gli stranieri, per affrontare con serietà i segnali di rifiuto e di respingimento che arrivano da più parti, costruendo invece reti di solidarietà grazie alla pazienza di Dio nella tessitura anche narrativa di ciò che tiene insieme le persone nella società e nelle chiese.