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Genova: serve una rapida giustizia, non i gesti eclatanti

I giorni del lutto e del cordoglio, in cui ci si chiede come possano capitare tragedie come quella del ponte di Genova, e ci si interroga sulla sicurezza o non-sicurezza dei luoghi che abitiamo e percorriamo: ponti, ma anche scuole. Ci sono stati passi ufficiali e obbligati, come l’avvio delle inchieste, a cominciare da quella della Procura, e passi «irrituali». Tali sono state le esortazioni rivolte da esponenti del Governo, a chi gestiva il ponte, a compiere gesti riparatori.

Nessun gesto e nessuna sentenza restituiscono la vita a chi l’ha persa né la serenità ai congiunti, ma tali gesti ci inquietano, anche se suscitano il consenso popolare: il «pentimento», che a volte fiocca sulle labbra di chi ha compiuto gesti violenti, ammesso che abbia un senso, deve partire dal diretto interessato. Se è «suggerito», ricorda modi di fare che speravamo accantonati, come le richieste di ritrattazione rivolte dall’Urss ai leader di partiti comunisti «fratelli» distaccatisi dall’ortodossia (50 anni fa, la Primavera di Praga); ma per chi è erede di confessioni cristiane un tempo dette «eretiche», questi gesti, che oggi trovano un gran consenso popolare, ricordano gli atti di pubblica contrizione con cui si doveva ammettere, davanti a tutti: siamo colpevoli. Ciò che serve in questi casi, è invece lavorare perché simili tragedie non si ripetano: qualcosa si può fare; e soprattutto è la rapida azione della procedura giudiziaria, di cui non si possono anticipare le conclusioni, pena la perdita di senso della separazione dei poteri e un’altra minaccia alla nostra sofferente democrazia.