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La vita delle prime comunità di convertiti

Il Signore li aveva rallegrati
Esdra 6, 22

E ogni giorno andavano assidui e concordi al tempio, rompevano il pane nelle case e prendevano il loro cibo insieme, con gioia e semplicità di cuore
Atti 2, 46

Il secondo capitolo degli Atti racconta la nascita della Chiesa il giorno della Pentecoste. La predicazione di Pietro, che narra le vicende di Gesù di Nazareth, si conclude con un appello al ravvedimento, al riconoscimento di Gesù come Signore e Messia. Tremila persone rispondono all’invito a farsi battezzare costituendo così il primo nucleo di coloro che più tardi saranno detti «cristiani».

La conclusione del capitolo ci riporta le caratteristiche di questa prima chiesa. Secondo il versetto 46 i momenti essenziali della vita della comunità di convertiti sono essenzialmente tre.

1. La quotidiana partecipazione al culto al Tempio. Questa comunità, infatti, ancora ben radicata in Israele, non si vedeva come un movimento di distacco dalla fede dei Padri.

2. Il rompere il pane nelle case, che costituiva in modo embrionale una forma di culto in cui si ricordavano le parole di Gesù nell’ultima cena pasquale, quando nell’offrire il pane ed il vino, aveva chiesto di ripetere questo gesto, in sua memoria. Era chiaro – sin dall’inizio – che riproporre il gesto e le parole di Gesù valeva come confessione della fede in Lui, nel valore della sua morte, nella speranza della resurrezione e consolidava l’impegno a vivere una vita nuova alla luce dei suoi insegnamenti e del suo esempio, sotto la guida dello Spirito.

3. Il prendere il cibo insieme, che era la palese manifestazione della fraterna amicizia e della comunione che legava questi antichi fratelli e sorelle. La condivisione e l’accoglienza reciproca faceva sì – come è scritto al capitolo 4, versetto 34  – che «non c’era alcun bisognoso fra loro».

E tutto ciò avveniva «con gioia e semplicità di cuore».

Care sorelle e cari fratelli, non vi pare che a venti secoli di distanza, questo stile di vita – tenendo conto che ogni epoca ha le sue peculiarità e che non è nella pedestre ripetizione del passato che si può vivere il presente e guardare con fiducia al futuro – potrebbe essere ancora un’ottima pratica per la Chiesa?