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Iran, i leader dell’Onda Verde verso la liberazione

Donald Trump continua a stupire: dopo il duro scambio di battute con il presidente iraniano Hassan Rouhani dello scorso 22 luglio, che aveva fatto crescere la tensione tra i due Paesi facendo addirittura immaginare possibili scenari militari, nella giornata di lunedì 30 luglio si è invece rivolto a Teheran con un tono molto differente. Durante il suo incontro a Washington con il presidente del Consiglio italiano, il presidente degli Stati Uniti ha infatti dichiarato di essere disposto a incontrare i leader politici iraniani «senza precondizioni», «quando vogliono», a patto che il regime di Teheran si mostri disponibile a cambiare atteggiamento e politiche, con riferimento soprattutto all’interventismo in Medio oriente.

Mentre a Washington Trump segnava questo netto cambio di tono nei confronti dell’Iran, proprio da Teheran arrivava una novità interna che potrebbe avere indirette ripercussioni anche all’esterno. Il Consiglio supremo di sicurezza nazionale, il principale organismo di sicurezza del Paese, ha infatti approvato la liberazione di due tra i più noti esponenti dell’opposizione: Mir Hossein Mousavi e Mehdi Karroubi, agli arresti domiciliari dal 2011 per aver guidato le proteste della cosiddetta “onda verde” del 2009. La notizia è stata diffusa da Hossein Karroubi, il figlio di Mehdi.

La loro vicenda giudiziaria era cominciata subito dopo le elezioni del 2009: Karroubi e Mousavi, candidati dei cosiddetti “riformisti”, avevano accusato il candidato conservatore Mahmoud Ahmadinejad di aver commesso frodi per la sua rielezione e avevano chiamato la popolazione a protestare in piazza, causando quella che viene ancora oggi ritenuta la più seria sfida mai lanciata alla Repubblica islamica dopo la rivoluzione del 1979. Poco dopo, nel febbraio del 2011, i due leader politici erano stati messi agli arresti domiciliari, anche se non hanno mai ricevuto accuse formali da parte di un tribunale.

La decisione favorevole del Consiglio supremo verrà ora vagliata dalla Guida suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei, che ha dieci giorni per esprimere un parere in merito, altrimenti la decisione sarà confermata. Se non ci dovessero essere decisioni contrarie, è probabile che Karroubi e Mousavi saranno autorizzati a lasciare gli arresti domiciliari per la festa dell’Eid al-Adha, che quest’anno comincerà tra il 20 e il 21 agosto. La “festa del sacrificio”, che ricorda l’obbedienza di Abramo alla richiesta di Dio di sacrificare il figlio prima di venire fermato da un angelo, quest’anno potrebbe essere ricordata anche per la fine di questa anomalia giudiziaria. Nella sua dichiarazione, Hossein Karroubi ha anche aggiunto che verranno eliminate le limitazioni che pesano oggi sull’ex presidente riformista Mohammad Khatami, che proprio per il suo sostegno alla cosiddetta Onda Verde venne messo al bando dai media e che oggi non può partecipare a numerosi eventi pubblici.

La decisione del Consiglio supremo rappresenta una vittoria per il presidente Hassan Rouhani, che nel 2013 aveva costruito parte della sua campagna elettorale sulla promessa di liberare i leader riformisti, senza mai riuscire a realizzare questa intenzione. Tuttavia, non è scontato che questa sia la conclusione della vertenza giudiziaria, perché né Mousavi né Karroubi si sono mai detti disposti a pentirsi per aver sfidato il sistema e nessuno dei due ha dato garanzie di rinunciare all’attività politica una volta rilasciato. Proprio per questo, Karroubi in più occasioni aveva chiesto un processo pubblico, finora sempre negato.

Secondo alcuni osservatori, la decisione di revocare gli arresti domiciliari per i due leader riformisti è dettata dall’esigenza interna di tenere unito il Paese, che sta andando verso una fase economica particolarmente difficile, dettata dalle pressioni esterne degli Stati Uniti.

Il momento economico dell’Iran, infatti, è molto delicato: lunedì 30 luglio è stato toccato il livello più basso nel cambio tra il rial iraniano e il dollaro americano, un crollo dettato dall’attesa per le nuove sanzioni annunciate dagli Stati Uniti, che da alcuni mesi stanno smantellando le aperture messe in atto dopo la firma dell’accordo sul nucleare iraniano del 2015. Già il mese scorso, la situazione economica aveva portato migliaia di cittadini in piazza di fronte al parlamento di Teheran, mentre tra dicembre e gennaio le proteste erano state represse duramente, con l’uccisione di 25 manifestanti e l’arresto di circa 5.000 persone. Il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha dato alle imprese americane e alle società straniere che hanno partecipazioni americane la scadenza del 6 agosto per liquidare le loro operazioni in Iran o per affrontare le conseguenze delle nuove sanzioni statunitensi. Inoltre, un’altra serie di licenze che coprono altri tipi di commercio, compresi gli acquisti di petrolio, sarà revocata nelle prossime settimane, con le imprese che hanno tempo fino al 4 novembre per porre fine a tali attività. Il timore di nuovi sanzioni hanno già iniziato a rallentare il flusso di petrolio dall’Iran, creando una situazione così tesa che il presidente iraniano Rouhani ha suggerito che il suo paese potrebbe tentare di chiudere lo Stretto di Hormuz tra il Golfo Persico e il Golfo di Oman se gli Stati Uniti non dovessero allentare la pressione.

Tuttavia, le altre parti dell’accordo, ovvero Gran Bretagna, Cina, Germania, Francia, Russia e Unione europea, continuano a sostenere la necessità di salvare l’accordo.