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100 anni, 100 giorni

Il 4 agosto 1918, quarto anniversario della dichiarazione di guerra, il re Giorgio V indice una giornata nazionale di preghiera, convocando i membri delle due camere del Parlamento inglese per un momento speciale di culto nella chiesa di St. Margaret, Westminster. La prima guerra mondiale finirà 100 giorni dopo, l’11 novembre. A distanza di un secolo esatto, alcune chiese e organizzazioni britanniche hanno deciso di ricordare la «grande guerra» e in particolare il suo terribile strascico di morte con una iniziativa per la pace e riconciliazione che ripercorra quei cento giorni, dal 4 agosto all’11 novembre.

Tramite il sito Internet https://www.remembrance100.co.uk vengono proposte molte attività ai soggetti più diversi: singoli cittadini, scuole, associazioni, chiese. Per ogni giorno sono offerti spunti per preghiere personali, alle idee di azioni concrete per promuovere la pace nel proprio quartiere, o nella propria comunità, per esempio anche attraverso i «peace party», occasioni per favorire il dialogo.

Un’altra idea nata proprio nel contesto della prima guerra mondiale sono i «due minuti di silenzio», da dedicare «al ricordo colmo di gratitudine per il sacrificio fatto da così tante persone in guerra, e alla riflessione sui temi eterni della fede, della speranza e dell’amore». Più di 800.000 soldati britannici perirono nel conflitto, e nel 1921 risultava più di un milione di invalidi, mutilati e reduci con disturbi psichici.

Nel primo anniversario della fine della guerra, furono indetti dello stesso re Giorgio, che richiamò tutti a interrompere qualsiasi attività, «in modo che in perfetta immobilità, i pensieri di ognuno fossero concentrati sul riverente ricordo di questi morti gloriosi». Da allora, ogni anno alle 11 dell’11 novembre i due minuti di silenzio vengono osservati per ricordare la fine della guerra in tutti i paesi del Commonwealth.

È stata prodotta anche una brochure che contiene molte proposte quotidiane, scaricabile gratuitamente dai sito insieme ad altri materiali (ovviamente in inglese); nella sua introduzione, pensando ai molti paesi ancora lacerati da conflitti armati, alle persone uccise o in fuga, e a coloro che quotidianamente «agiscono con speranza laddove si vede poca luce», l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, ha scritto: «Sappiamo che il Dio che ha dato Suo Figlio per portarci la riconciliazione ascolta le loro preghiere; gli chiediamo di aprire i nostri cuori per unirci a loro ed essere costruttori di pace che oltrepassano i confini e le barriere, radicali nella nostra generosità e accoglienza».

Al termine del documento l’arcivescovo Justin Welby ha individuato «6R della riconciliazione»: researching (ricerca: occorre interrogarsi su che cosa sta dietro un conflitto, qual è il problema reale), relating (non c’è riconciliazione senza relazione con l’altro; la riconciliazione non è un processo meccanico), relief (il sollievo e conforto dato dalla ricomposizione dei torti e delle ingiustizie), risk (il rischio primario nel processo di riconciliazione è il fallimento: c’è il rischio di essere trascinati nel conflitto, che invece di risolversi si aggrava), reconciling (una riconciliazione autentica richiede un totale cambiamento interiore e nei confronti di quelli che prima erano i nostri nemici: è una trasformazione assai difficile), resoursing (la riconciliazione non può essere portata da un esterno, sono le persone coinvolte nel conflitto, sempre una collettività, mai un singolo eroe, a doverla attivare; un contributo esterno può, tuttavia, dare loro le risorse giuste).

L’iniziativa «Remembrance 100» è appoggiata da diverse chiese: oltre alla Chiesa d’Inghilterra, la Chiesa metodista, la United Reformed Church, l’organismo ecumenico Churches together in England, che riunisce varie denominazioni cristiane. Tra i sostenitori, anche organizzazioni religiose e caritative finalizzate alla diffusione della Bibbia e alla preghiera (Bible Society, Deo Gloria Trust, Lifewords, Scripture Union, Christian Vision for Men), la cappellania sportiva nel Regno Unito, l’Unione cristiana delle Forze Armate, e l’organizzazione Hope, un vero e proprio catalizzatore delle risorse delle singole chiese, che ha prodotto i materiali. Partecipa anche The Peace Alliance, organizzazione no-profit statunitense impegnata nel lavoro di peacebuilding a livello nazionale e internazionale, politico e legislativo.