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«Non c’è sicurezza o giustizia se non attraverso la cura delle persone»

Oggi «la vittima è totalmente strumentalizzata a favore di un discorso securitario: si pensa che arginando qualunque tipo di offesa, alzando i muri, le persone siano più protette e diminuisca il rischio di vittimizzazione. La realtà è esattamente l’opposto, come dimostra il rapporto tra legittima difesa e numero di vittime, che è a favore delle lobby delle armi… Non c’è sicurezza e giustizia possibile se non attraverso la cura delle persone».

Con questa impostazione, nelle parole del suo presidente e promotore, il magistrato Marco Bouchard, si è costituita lo scorso 11 luglio, per iniziativa di tre associazioni di Torino, Firenze e della Sardegna, Rete Dafne Italia. Un’associazione nazionale che soccorre e assiste le vittime di reato, il cui nome si ispira al mito greco in cui, per sottrarla alle attenzioni moleste del dio Apollo, la ninfa Dafne viene trasformata dalla dea Terra in pianta di alloro.

Quello che l’associazione propone è una «cultura della vittima» che non sia vittimismo, spiega Bouchard: «Occuparsi delle vittime reali vuol dire evitare la trappola del vittimismo apparente, che prescinde da un’offesa reale. Il problema è che tutta la società oggi, dall’Europa all’America alla Cina, è dominata da questi sentimenti, di cui lo stesso potere politico utilizza i concetti: il ricorso alle armi viene motivato dal fatto che siamo assediati, le nuove classi dirigenti si pongono come vittime delle vecchie, non c’è una progettazione o un discorso rivolto al futuro. Il discorso sulle vittime reali vuole proprio ribaltare questa logica, un completo travisamento della realtà, secondo cui noi siamo le vittime rispetto agli assedianti che arrivano con i barconi…».

L’associazione, al contrario, intende «rafforzare la vittima e non soltanto punire chi colpisce. Vogliamo fare crescere il senso di responsabilità, aiutarla a conoscere il proprio dolore: molte vittime spesso non sono consapevoli di esserlo, penso anche alle vittime collettive (malattie professionali, gravi casi di inquinamento industriale)».

La Rete fa riferimento a una direttiva europea del 2012, che prevede che in tutti gli Stati si valuti la vulnerabilità della persona offesa, in modo che riceva una risposta personalizzata: «i due percorsi, – osserva Bouchard – quello penale e quello di cura delle vittime, possono anche non intrecciarsi: una vittima è tale anche se c’è solo la denuncia al pronto soccorso o ai servizi sociali, a prescindere dall’esistenza di un procedimento penale e da una condanna».

La storia comincia nel 2007 a Torino, ricorda Bouchard, quando un gruppo di professionisti in ambito giuridico, psicologico e psichiatrico comincia a riflettere sull’importanza di una cura delle vittime dopo la denuncia del reato: con il sostegno dell’assessore provinciale al welfare e ai servizi sociali, nel 2008 si riuniscono gli operatori del territorio torinese impegnati nella mediazione, nella giustizia riparativa, nel settore minorile, l’ente locale (il Comune di Torino), il Gruppo Abele e la Fondazione San Paolo (il cui supporto economico è fondamentale).

Negli anni seguenti il gruppo torinese diventa membro di Victim Support Europe e si collega all’Europa, dove esistono dalla metà degli anni Settanta «servizi generalisti che intervengono dopo una denuncia, indipendentemente dal tipo di reato e di vittima: a partire dall’Inghilterra con il Victim Support, poi in Germania, Francia, Spagna, Portogallo». Sebbene esista una decisione-quadro del Consiglio d’Europa del 2001, si tratta di un progetto pionieristico per l’Italia, dove all’epoca non esiste un servizio di questo tipo, e per alcuni anni quella di Torino rimane un’esperienza isolata.

L’ampliamento a Firenze avviene in occasione del processo del Forteto, in cui Bouchard è a capo del collegio giudicante: la comunità fiorentina è accusata di aver perpetrato per decenni maltrattamenti e violenze sessuali sui minori che le erano affidati dal Tribunale. Dal momento che nessuna delle vittime era stata ascoltata da uno psicologo o da uno psichiatra, Bouchard chiede «ai collaboratori di Torino una valutazione sul rischio di vittimizzazione secondaria, piuttosto alto nei casi di violenze nelle relazioni a corta distanza».

Sulla scia di questa esperienza si pensa di avviare a Firenze un servizio analogo a quello di Torino, e queste due città sono le uniche ad avere alle spalle una rete importante di tipo istituzionale. Nell’ultimo anno si è poi creata anche in Sardegna una rete di istituzioni, operatori e sponsor, che si è unita a Rete Dafne, e si decide di passare dal livello informale alla costituzione di un’associazione nazionale. Questa, da un lato vuole stimolare la nascita di servizi laddove non ci sono, ma dall’altro anche riunire le numerose esperienze già esistenti ad esempio a Mantova, Casalecchio di Reno, Potenza, Bari, Bologna, Napoli, Verona… Proprio qui ci sarà la prima assemblea della Rete, in settembre, con le prime adesioni formali.

Per finanziarsi, la Rete parteciperà a un bando europeo insieme al Ministero della Giustizia, che si è impegnato attraverso un suo funzionario già nel precedente Governo. La speranza è che si possa procedere su questa strada a prescindere dal clima politico…