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Il ’68 continua a ispirarci

D’un tratto ho capito ciò che mi attraeva nei racconti della generazione del ‘68: credevano veramente di poter cambiare il mondo… veramente! c’era qualcosa nel loro modo di ragionare che non riuscivo ad agganciare: la visione di ciò che poteva essere, al di là del presente.

Quello che invece avevo capito da subito è che per cambiare bisogna essere in tante, in comunità o associazioni, o alleate ad altre forze presenti nella società.

In un altro aspetto sicuramente la mia generazione si è differenziata: la scelta di metodi diversi, quali la non violenza, uno strumento che, detto con estrema sintesi, vuole tenere bene a mente che il percorso vale quanto l’obiettivo. 

Ogni momento in cui individuiamo la battaglia da intraprendere, in ciascun decennio o età ci troviamo, è il momento nel quale crediamo in un futuro diverso. 

Non è quasi mai una fase popolare, tra visioni lontane dallo status quo e incomprensioni o difficoltà di spiegarsi.

Individuare il momento, il kairos, è la responsabilità di ogni generazione, come quando il World council of churches pubblicò il documento nel quale mise fuori dal confine la chiesa razzista del Sudafrica, o quando con la Fgei partecipammo nel 1995 alla fondazione dell’associazione Libera, Nomi e Numeri contro le mafie scegliendo da che parte stare; oggi quando la Fcei ha creato i corridoi umanitari.

Ho scelto magari i segni in modo troppo personale, a ciascuna di scegliere i propri, ma l’eredità che vorrei trovare ancora viva è credere che si possa, pur governando le contraddizioni, individuare, in ogni tempo, da che parte stare e testimoniarlo.

Vorrei pensare che la visione del ’68 ci ispira ogni volta che siamo impegnate a cambiare la società indirizzandola verso un luogo nel quale vi sia uguaglianza di opportunità per tutte le donne e gli uomini.