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Carcere: non è l’unica risposta che può dare la società

Tra le poche certezze della complicata vicenda delle carceri italiane, oltre al sovraffollamento (58.759 detenuti al 30 giugno 2018 con una capienza ufficiale di 50.632) c’è l’effetto positivo sul calo della recidiva da parte delle misure alternative al carcere. Come riportava Il Dubbio il 16 marzo scorso «dalle statistiche emerge che per chi espia la pena in carcere vi è recidiva nel 60,4% dei casi, mentre per coloro che hanno fruito di misure alternative alla detenzione il tasso di recidiva è del 19%, ridotto all’l% per quelli che sono stati inseriti nel circuito produttivo». Dati che non lasciano dubbi, così come quelli riportati nel Rapporto 2017 sulle condizioni di detenzione realizzato dall’associazione «Antigone»: la percentuale di revoca delle misure alternative è piuttosto bassa (il 5,92%) «soprattutto se consideriamo le revoche per commissione di nuovi reati». Oltretutto, di fronte alla singolare tendenza degli ultimi anni di un calo dei reati a fronte di un aumento dei detenuti appare evidente che, come scrive Andrea Oleandri (nel Rapporto di Antigone 2018) «la crescita del carcere non corrisponde all’andamento della criminalità, ma piuttosto al clima culturale e politico».

Il punto, però, è che i fautori di questo «clima culturale e politico» sono andati alla guida del Paese e la visione che il governo «giallo/verde» propone è molto «carcero-centrica». Fino dal «Contratto per il governo del cambiamento», infatti si risponde al problema del sovraffollamento con «un piano per l’edilizia penitenziaria che preveda la realizzazione di nuove strutture e l’ampliamento e ammodernamento delle attuali». Concetti ribaditi dal nuovo ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che, in un’intervista al Corriere della Sera (18 giugno 2018) prima ribadisce la centralità del principio costituzionale del reinserimento del condannato e poi aggiunge: «Non mi interessa diminuire il numero dei detenuti, ma garantire loro il rispetto della dignità anche in carcere».

Sul rispetto e la dignità siamo tutti d’accordo, tuttavia l’idea di risolvere il problema delle carceri costruendone di nuove, quindi aumentando la capienza penitenziaria invece di diminuire i detenuti in cella attraverso misure alternative (della cui indubbia efficacia sociale e in termini di sicurezza abbiamo già detto), rischia di essere un vasto programma« di improbabile realizzazione. Prima di tutto verrebbe a costare molto e un governo già alle prese con la non facile reperibilità di coperture finanziarie difficilmente porrà questa tra le sue priorità. In secondo luogo si tratta di un’operazione in tempi lunghi, e intanto la situazione nelle carceri italiane è sempre più drammatica: nel 2017 i suicidi sono stati 52, mentre i tentativi sono stati 1135. Nel 2018 i suicidi in carcere hanno già superato quota 20. Sulla necessità di ristrutturare molte carceri italiane fatiscenti non ci sono dubbi, sul fatto che una grande operazione di edilizia penitenziaria sia la risposta principale alla crisi del sistema le perplessità non mancano. 

D’altronde, il precedente governo e la relativa maggioranza non è che abbiano da andare molto fieri: dopo aver messo in piedi una coraggiosa riforma penitenziaria attraverso un percorso condiviso da tutte le componenti del settore giustizia, andando proprio verso il rafforzamento delle misure alternative, non hanno avuto il coraggio e la forza di approvarla entro la fine della legislatura.

Peccato, un’occasione persa e una delusione nelle carceri dove 10.000 detenuti hanno appoggiato il Satyagraha di Rita Bernardini (del Partito radicale transnazionale) con digiuno, sciopero della spesa e rifiuto del carrello per sollecitare l’approvazione della riforma. Un’iniziativa ignorata dai media mentre «se 10 detenuti devastassero il reparto di un carcere, finirebbero su tutti i tg e giornali», come osservava amaramente Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera del 21 febbraio 2018. Il dialogo e la nonviolenza, però, restano le uniche strade percorribili, partendo dal rispetto delle regole e delle persone. «In Italia e in Europa – dice Bernardini – è urgentissimo iniziare di nuovo dall’ABC delle regole sui diritti inviolabili imposte dalla nostra Costituzione, dalla Convenzione europea e dalla Dichiarazione Onu sui diritti della persona».