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Grazia radicale, speranza trasformativa

Attraverseranno un intero anno di vita della Chiesa le parole chiave scelte per i discorsi di apertura dalla presidente, rev. Michaela Youngstone, e dal vicepresidente Bala Gnanapragasam. La Grazia radicale, nelle parole di Michaela diventa ospitalità radicale, in comunità inclusive che sanno essere segno della festa intorno alla tavola del banchetto nel Regno di Dio; e che sanno prendere rischi, in un uso creativo delle risorse e nello sviluppo di nuovi ministeri. La Speranza trasformativa supporta l’impegno contro ingiustizie e povertà per Bala, che cita tre segni preziosi di impegno per la giustizia, fra cui il progetto Mediterranean Hope della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia e la determinazione con cui chiese pure così piccole, come quelle metodiste e valdesi in Italia, continuano a portare avanti un’idea di Europa aperta e solidale verso i migranti nonostante il diffondersi di un linguaggio, un clima sociale e politiche ostili, che rendono questo impegno sempre meno «popolare» e «conveniente» in chiave di consenso. Due messaggi intessuti di esperienze di vita, potremmo dire «di fede incarnata», aperti all’ascolto di voci dal mondo (come quelle della World Church, la grande famiglia metodista nei 5 continenti, qui ampiamente rappresentata) che allargano e mutano lo sguardo su cose e avvenimenti, aiutando a discernere i segni dei tempi. Esperienza. Non a caso è uno degli elementi (con ragione e tradizione) che contribuiscono alla comprensione della Parola di Dio attraverso la Scrittura nel cosiddetto «quadrilatero wesleyano».

Tutti i temi centrali della Conferenza sono introdotti da presentazioni ricche di dati e analisi, ma sempre intrecciate a esperienze vissute (molto coinvolgente quella su traffico di esseri umani e nuove schiavitù). E capita anche che l’intera Conferenza sia coinvolta in una sorprendente sessione plenaria di scriptural reasoning interreligiosa, sul racconto dell’incontro di Abramo alle querce di Mamre! Non si tratta di parentesi all’interno del normale svolgimento dei lavori, ma di parti integranti del modo in cui si perviene alle decisioni finali, con fili invisibili che passano anche nei bellissimi canti e nelle preghiere che accompagnano i momenti più significativi di ogni sessione. Anche così si nutre la connexion, la vitale connessione fra le chiese locali e gli individui che compongono il corpo della Chiesa, che è al centro anche dei due temi più discussi.

Il primo è il processo verso la piena comunione con la Chiesa d’Inghilterra (che avrebbe come sbocco il riconoscimento e l’intercambiabilità dei pastori), focalizzato sul rapporto fra forme di esercizio dell’episkopè nella Chiesa e successione apostolica. Nella comprensione della Chiesa metodista britannica l’esistenza di un episcopato personale e storico non costituisce condizione e garanzia della continuità con fede e missione apostoliche, come è invece per la Chiesa d’Inghilterra: l’esercizio dell’episkopè (governo, guida, mantenimento dell’integrità e dell’unità) è essenzialmente comunitario e collegiale ed è attuato pienamente nella Conferenza. Sulla proposta di eleggere in futuro presidenti vescovi il dibattito è partecipato, ma la sensazione è che il tema non riscaldi i cuori. La collaborazione fra le Chiese, dove c’è, funziona a prescindere; e dove non c’è, non scaturirebbe in modo automatico da un accordo formale. E come sarebbero considerati i pastori ordinati prima? Che fare del ministero diaconale; che cosa dei ministeri «laici», che rappresentano da sempre un elemento fortemente qualificante dell’ecclesiologia metodista? Una piena comunione può trascurare questi aspetti? Interessa alla Chiesa d’Inghilterra una prosecuzione del percorso che includa questi fronti di riflessione? Si vedrà.

Ben altro il livello emotivo quando si discute il rapporto su «matrimonio e altre unioni», che contiene anche la proposta di aprire alla possibilità, per le chiese locali nelle quali vi sia consenso, di celebrare matrimoni fra persone dello stesso sesso. La commissione che lo ha preparato ritiene che serva un ultimo anno di lavoro nelle chiese, con al centro la crescita nello spirito che abilita a vivere nella stessa Chiesa con convinzioni contrastanti: uno spirito di apertura, onestà, preghiera, rispetto, ascolto, riconoscimento della sincerità della fede di chi ha convinzione diverse a partire dalla lettura della stessa Bibbia e la rinuncia a linguaggi e comportamenti coercitivi, nella comune sottomissione all’autorità della Scrittura, che è sempre oltre le comprensioni di ciascuno. Viene però presentata una mozione per anticipare la liberalizzazione. Le conseguenti proposte di modifica zoppicano; alcuni distretti manifestano disagio perché alcune chiese non hanno affrontato la questione. La Conferenza, a maggioranza, decide di non mettere ai voti la mozione. Si avverte il sollievo di alcuni, ma anche la frustrazione e il dolore di molti. Preghiera, canto… il cammino prosegue, cercando di non lasciare indietro nessuno.

 Anche fra noi rappresentanti della World Church il confronto si anima. La comprensione dei diversi contesti aiuta tutti a decentrarsi. «Un problema comune lo fronteggiamo: – dice la vescova presidente della Chiesa Metodista del Gambia – la tentazione dei numeri: paura dei numeri, orgoglio dei numeri; due facce della stessa medaglia! Mettere al centro i numeri…. una brutta tentazione». Preghiamo gli uni per gli altri.