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Protezione umanitaria, una circolare politica

Mercoledì 4 luglio il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha inviato una circolare a tutti i prefetti, i questori, la commissione nazionale per il diritto d’asilo e i presidenti delle commissioni territoriali con l’obiettivo principale di ridurre il numero di permessi di soggiorno concessi per motivi umanitari, la forma più diffusa di protezione per cittadini stranieri in difficoltà.

Come si legge nel testo della circolare, il ministro dell’Interno Salvini chiede alle commissioni territoriali di operare con il «più assoluto rigore e scrupolosità» nell’operato di «una funzione che si presenta essenziale nel più ampio contesto di gestione del fenomeno migratorio, a salvaguardia degli interessi primari della collettività oltre che dei diritti dei richiedenti». Nelle tre pagine che costituiscono il documento si parla prima di tutto della necessità di ridurre i tempi per l’esame delle istanze, in modo da ridurre il numero di domande al vaglio. Tuttavia, la tendenza è quella di una riduzione delle richieste d’asilo: mentre nel 2017 poco più di 130.000 persone avevano chiesto protezione, nei primi cinque mesi del 2018 sono state 28.613. Inoltre, all’obiettivo di ridurre la coda di domande concorre anche l’entrata in servizio in questi giorni di 250 nuovi commissari.

Tuttavia, il vero cuore della circolare è costituito da riflessioni sulla natura della protezione umanitaria.

Nell’ordinamento italiano esistono tre forme di protezione per i cittadini stranieri in condizioni di difficoltà o vulnerabilità: lo status di rifugiato, la protezione sussidiaria e la protezione umanitaria. Il primo, previsto dalla Convenzione di Ginevra del 1951, è riconosciuto a qualsiasi persona che «rischia persecuzioni per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche». Si tratta di criteri molto precisi e rigidi, al punto che nel 2017 l’Italia ha rilasciato 6.627 permessi di questo tipo, pari all’8% delle domande presentate, un dato in linea con le decisioni prese negli ultimi cinque anni.

Il secondo tipo di protezione, quella sussidiaria, è invece uno status riconosciuto a chi rischia di subire un danno grave, come morte o tortura, in caso di rientro nel proprio Paese d’origine. Nel 2017 l’Italia ha rilasciato 6.680 permessi di questo tipo, una quota molto simile a quella dello status di rifugiato e inferiore rispetto alla media europea: secondo i dati Eurostat, nel 2017 in Europa sono state riconosciute 159.120 protezioni sussidiarie, delle quali solo il 4% in Italia.

In ultimo, la protezione umanitaria, concessa per motivi umanitari che non rientrano nelle precedenti forme e che variano da Paese a Paese. Tra gli Stati membri che ricorrono maggiormente a questa forma di protezione si trova l’Italia, insieme a Grecia, Svezia e Slovacchia. Come ricorda l’avvocato Guido Savio, dell’Associazione per gli Studi giuridici sull’Immigrazione (Asgi), «oltre 20 Paesi dell’Ue hanno forme di protezione analoghe alla protezione umanitaria, previste anche dalle direttive dell’Unione europea che regolano la materia». Tuttavia, secondo il ministro dell’Interno, «a differenza di quanto accade in altri Stati Membri, nei quali le tipologie di forme complementari di tutela sono espressamente e tassativamente individuate dalle norme e, pertanto concesse in casi limitati, la disposizione in esame, di carattere residuale, rappresenta il beneficio maggiormente concesso dal Sistema nazionale». In realtà, anche da questo punto di vista l’Italia non è isolata: addirittura, il visto per ragioni umanitarie viene rilasciato in Grecia nel 40% dei casi. «È rilevante – aggiunge Savio – perché la protezione umanitaria secondo quanto scrive la stessa circolare negli ultimi 5 anni ha rappresentato dal 25 fino al 28% dei riconoscimenti»

Il numero di beneficiari di protezione umanitaria è cresciuto in modo costante negli ultimi anni, in modo nettamente superiore alle altre forme. Istituita nel 1998 nell’ordinamento italiano, la protezione per motivi umanitari garantisce un permesso di soggiorno della durata di due anni, rinnovabile nel caso in cui siano confermate le condizioni che ne permettono l’ottenimento. Inoltre, può anche essere convertita in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

Asgi ha criticato la circolare ministeriale, definendola «inopportuna ed errata nei suoi presupposti e nelle sue finalità», aggiungendo poi che «sembra voler dare un indirizzo politico a una decisione di tipo amministrativo, come è quella sull’accoglimento delle richieste di asilo». In particolare, la critica si rivolge a un passaggio della circolare in cui si legge che la norma «ha, di fatto, legittimato la presenza sul territorio nazionale di richiedenti asilo non aventi i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale il cui numero, nel tempo, si è sempre più ampliato, anche per effetto di una copiosa giurisprudenza che ha orientato l’attività valutativa delle Commissioni».

In sostanza, per il ministro dell’Interno «il permesso di soggiorno per motivi umanitari è stato concesso in una varia gamma di situazioni collegate, a titolo esemplificativo, allo stato di salute, alla maternità, alla minore età, al tragico vissuto personale, alle traversìe affrontate nel viaggio verso l’Italia, alla permanenza prolungata in Libia, per arrivare anche ad essere uno strumento premiale dell’integrazione». Subito dopo queste considerazioni, il ministro considera la situazione come problematica in termini sociali e di sicurezza. Nel testo della circolare, si legge infatti che «tale prassi ha comportato la concessione di un titolo di soggiorno ad un gran numero di persone che, anche in base alla normativa europea sull’asilo, non avevano al momento dell’ingresso nel nostro Paese, i requisiti per la protezione internazionale e che, ora, permangono sul territorio con difficoltà di inserimento (salvo i pochi casi in cui il permesso umanitario è stato convertito in permesso per motivi di lavoro) e con consequenziali problematiche sociali che, nel quotidiano, involgono anche motivi di sicurezza». Per Asgi, questa posizione è inaccettabile. Secondo l’avvocato Savio, «dire che dare un permesso di soggiorno vuol dire avere conseguenze in materia di sicurezza è assurdo. È esattamente vero il contrario: più le persone hanno un permesso di soggiorno e possono quindi rivolgersi al mercato del lavoro, più c’è sicurezza per tutti. Viceversa noi avremmo una massa di persone irregolarmente soggiornanti che non si riesce ad allontanare dal territorio dell’Unione europea, quello è il problema e questo non c’è mai riuscito in misura consistente e massiccia e non lo farà neanche questo, ebbene queste persone si rivolgeranno necessariamente al mercato del lavoro nero e al mercato del lavoro criminale». «L’effetto pratico – conclude Savio – è avere dei clandestini in più, cioè esattamente il contrario di quello che il contratto di governo vorrebbe far credere».