69332_file_1200x914-696x385

La mente altrove

La città di Domodossola sta dedicando grande attenzione alla qualificazione dell’offerta artistica della città, in particolare ai musei civici dislocati in due sedi: palazzo Silva e palazzo San Francesco. Questa seconda sede, in particolare, ha una storia affascinante che inizia nel Medioevo, quando era una chiesa affrescata. All’inizio dell’Ottocento, a causa delle disposizioni napoleoniche, i francescani che abitavano l’edificio furono cacciati, così passò in mano a un privato che ne fece un palazzo, conservando però la chiesa. L’edificio divenne proprietà del comune che, dopo diversi utilizzi, decise di restaurarlo. I lavori sono ultimati al pianterreno, dov’era la chiesa, con un ritorno alla luce degli affreschi, delle colonne e delle arcate che immergono il visitatore in un luogo magico in cui la storia e la spiritualità dei francescani continuano a vivere. Qui è stata allestita la mostra De Chirico e De Pisis. La mente altrove.

«Negli spazi che già predispongono verso una dimensione onirica» commenta Antonio D’Amico, conservatore delle raccolte d’arte del comune di Domodossola e curatore, «i due grandi maestri del ’900, con la metafisica, non hanno fatto altro che estraniarsi dalla realtà per accedere a quest’altra relazione che è data dal sogno».

Quale rapporto si intreccia tra il luogo e la mostra esposta?

«Il rapporto è dato dai tre secoli che si incontrano in questo luogo. Ritroviamo De Chirico e De Pisis con circa 40 opere che appartengono agli inizi del ‘900, dagli anni ‘20 fino a circa il 1950. Quello che mi ha interessato è voler cercare un dialogo, non un confronto, di questi due artisti rispetto alle nature morte del ‘600 presenti a palazzo San Francesco. Quando i due pittori italiani vivono a Parigi e vanno per le sale del Louvre, si aggirano tra i dipinti rimanendo affascinati da quello che potremmo definire un “duello con la realtà” che avviene nel ‘600: queste nature morte straordinarie di artisti napoletani, sostanzialmente di scuola caravaggesca, non fanno altro che fotografare il vero. Si tratta di artisti come Ruoppolo e Recco, dei napoletani del ‘600 in generale, ma non solo; pensiamo anche al grande amore che De Chirico aveva per Rubens o per Rembrandt. Guardando quei fiori e quella natura morta, questi due artisti infondono a quella realtà e quelle immagini, i sentimenti, la loro anima, il loro travaglio interiore, la loro poesia. Si estraniano dal vero per immergersi nel sogno e immaginare questi fiori non per la bellezza reale ma per la bellezza delle cose invisibili. Ecco il dialogo. Ecco cosa vediamo in mostra: la bellezza della realtà che nel ‘900 sconfina nel sogno. Si capisce perfettamente che loro la realtà la guardano ma hanno la mente altrove, immersa nei loro pensieri».

Quali particolarità ha il percorso espositivo?

«Ci sono opere che si vedono per la prima volta non solo a Domodossola, ma in Italia. Le quattro nature morte che sono esposte in mostra non sono mai apparse nel nostro paese, soltanto una fu esposta negli anni ‘50, ormai parecchi anni fa. Le opere di De Chirico e di De Pisis vengono da collezioni private italiane ed estere e difficilmente si vedono nelle mostre. L’idea è stata quella di voler andare a scavare nel catalogo di questi artisti e trovare nature morte preziose e significative nella ricchezza del percorso di questi artisti, soprattutto con l’intento di poter immergersi, in questo senso, nel loro sogno».