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Il 1968 a Riesi e in Sicilia

Dopo il primo articolo di ieri a cura di Marco Rostan, nelle serie dedicata al 1968 nelle chiese evangeliche oggi è il turno del direttore del Servizio Cristiano di Riesi, Gianluca Fiusco. Tocca a lui riflettere su un ’68 particolare: quello in terra siciliana

Parlare del ’68 dalla prospettiva vissuta a Riesi in quel tempo è complicato. Riesi, che della sua centralità ha fatto vanto e vergogna, ha per certi versi anticipato il ’68 e, per altri, lo ha esteso.
L’esperienza legata alle Università fu certo ben lontana dalla realtà della Sicilia interna e, quindi, anche di Riesi.

Ciononostante l’impegno per la democrazia, per la comprensione delle complessità del mondo, delle povertà e di come partecipare alla loro risoluzione, fu parte indissolubile del lavoro del Servizio Cristiano fin dall’inizio. Quindi ben prima del ’68 e del 1966.
Fu forse per questa ragione che gli “stravolgimenti” che si verificarono in Europa e anche in Italia non sorpresero più di tanto il gruppo di Riesi.

Non sorpresero ma neppure li lasciarono indifferenti. L’impegno del Servizio Cristiano era rivolto proprio a dare concretezza a molti degli aneliti di fondo che animarono il ’68: uguaglianza, giustizia sociale, pace, etc… Temi molto presenti nel lavoro a Riesi.
Ed il 1968 in Sicilia si aprì con il terremoto del Belice e lo sfollamento di oltre 70 mila persone.

Il Servizio Cristiano si impegnò da subito su questo fronte senza rinunciare alla necessità di affiancare a questo la riflessione sui fatti del mondo. Vinay, complice Giorgio Spini, organizzò una retraite del Gruppo Residente affinché si interrogasse e ascoltasse quel che l’amico professore aveva da dire su quella che Vinay stesso definì una “rivoluzione colossale” (lettera a Giorgio Spini del 17 aprile 1968).

Emerge chiaramente la necessità che Vinay avvertiva di evitare che l’esperienza di Riesi rimanesse confinata tra le vie polverose della cittadella o che fosse solamente esperienza di pochi o di una Religione in particolare.
Il legame col fermento sessantottino era perciò necessario e la sfida di riuscire a portarne un’“oncia” ai “confini del mondo”, a Riesi, fu affrontata col piglio del credente che non vede l’orizzonte di Cristo, ma intuendolo, mette mano all’aratro, fiducioso.

E se Riesi fu ed è confine, si lavorò per trarre forza da questo confino rendendo la “frontiera” aperta, sulla quale scambiare esperienze, informazioni, conoscenze, speranze, impegno.
Senza tralasciare il lavoro quotidiano per dare spazio ad altro, dimenticandosene. La “rivoluzione colossale” bussava alle porte del mondo: Riesi non poteva disinteressarsene. Ecco che ’68 e tragedia del Belice erano opportunità per uscire fuori dal rischio dell’isolamento. Per rendere la frontiera osmotica, permeabile in entrambe le direzioni e le contaminazioni. E, mentre da ogni parte d’Italia e del mondo, arrivavano lettere, domande, riflessioni; mentre a Riesi giungeva Spini per aiutare quella Comunità a non smarrirsi nell’oceano di eventi che, con forza e velocità mai viste prima, si diffondevano facendo arrivare nella sperduta campagna siciliana echi indistinti, la Comunità del Servizio Cristiano doveva rimanere operosa, fedele all’impegno evangelico che l’aveva fatta sorgere.

Tra il 1968 e l’oggi che viviamo le analogie son molte: “La loro protesta ha assunto proporzioni inconsuete. Ha scosso l’opinione pubblica. È una rivolta contro le cose vecchie, contro lo status quo divenuto insopportabile. La protesta è assolutamente valida per quel che riguarda il rifiuto della società attuale. Ma manca una chiara visione della nuova. Gli otri vecchi non servon più, ce ne vogliono dei nuovi, ma prima ancora è necessario il vin nuovo da metterci dentro. Occorre esser ciechi per non riconoscere la validità della protesta giovanile, ma se questa non avrà un contenuto chiaro e vero, si esaurirà ben presto nell’amarezza generale”1.

Anche noi, oggi come allora, assistiamo a insurrezioni quotidiane. Sono meno evidenti, carsiche: elettorali, culturali, sociali, mediatiche. Si affacciano, oggi come allora, domande che interrogarono Vinay ed il Servizio Cristiano: che si prepara all’orizzonte? Che cosa verrà di veramente nuovo?

Il ’68 portò a cambiamenti strutturali notevoli e profondi. Non tutti duraturi ed efficaci. Il Servizio Cristiano vide che la ricerca di nuove strutture esigeva che si lavorasse per queste con mentalità completamente diversa.
L’oggi ed il ’68 non sono distanti: ripropongono una stanchezza generale che rischia di portare all’isolamento.

La cura è nella capacità di evitare che le mode politiche, culturali, mediatiche, si sostituiscano a quel cambiamento di “mentalità” che, allora come oggi, è, per chiunque crede, determinante.

1 L’Utopia del Mondo Nuovo, pag. 93, Claudiana, 1984.