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Istanbul, una primavera di inizio estate

Il 30 giugno 2018 a Milano si è tenuto il Pride 2018, una manifestazione che è stata anticipata dalle polemiche legate alla decisione del Consiglio della Regione Lombardia di non concedere il patrocinio, ma che secondo gli organizzatori ha comunque portato in piazza oltre 250.000 persone. Al netto delle difficoltà istituzionali, quindi, si tratta di un’iniziativa che non viene messa in discussione nel suo diritto di esistere. Per contro, il giorno dopo, domenica 1 luglio, a Istanbul si sarebbe dovuto tenere il Pride, ma per il quinto anno consecutivo il governo ha deciso di vietarlo.

Quello di domenica è stato un pomeriggio di tensione nel centro della città più popolosa della Turchia, dove migliaia di manifestanti hanno sfidato il divieto delle autorità turche di celebrare la marcia del Pride 2018. La polizia, schierata in assetto antisommossa fin dal mattino nella zona di piazza Taksim, dove si sarebbe dovuto tenere il corteo, ha caricato diversi gruppi di attivisti Lgbt e ha utilizzato proiettili di gomma e gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti.

La polizia ha comunque permesso a un centinaio di attivisti di leggere un comunicato stampa nei pressi di Taksim, ma subito dopo quel momento ha deciso di disperdere la folla. Secondo Amnesty International e il coordinamento Pride Istanbul, sono almeno 5 le persone fermate.

Il timore che si arrivasse a uno scontro tra i manifestanti e le autorità era già stato espresso da Human Rights Watch, organizzazione da tempo preoccupata della sempre più difficile situazione delle persone Lgbt in Turchia. Secondo Boris Dittrich, direttore del programma per i diritti Lgbt di Human Rights Watch, «in quanto membro del Consiglio d’Europa, la Turchia dovrebbe aderire agli standard dell’organizzazione per combattere le discriminazioni basate sul genere e sull’orientamento sessuale». Una raccomandazione del Consiglio d’Europa risalente al 2010, sottoscritta anche da Ankara, affermava infatti che gli Stati membri devono garantire a tutti di godere della libertà di riunirsi pacificamente in assemblea senza discriminazione e che i governi non devono abusare di strumenti legali e amministrativi per imporre restrizioni alla libertà d’espressione sulla base di salute pubblica, morale o ordine pubblico. Ma è proprio sull’ordine pubblico che si è fondato questo divieto.

Il giornalista Murat Cinar, nato in Turchia e attivo da anni nel seguire e raccontare i movimenti politici turchi, racconta che «dopo la rivolta del Parco Gezi del 2013 la partecipazione al Pride di quell’anno fu altissima, più di 200.000 persone avevano partecipato. La rivolta ebbe inizio il 30 maggio e il Pride fu il 12 giugno. Dopo quell’edizione la prefettura di Istanbul ha sempre deciso di vietare la marcia e questo è stato il quinto anno consecutivo». Anche quest’anno il divieto è stato limitato al corteo vero e proprio, mentre le conferenze, i dibattiti, i laboratori si sono potuti tenere. La marcia si svolge da parecchi anni a Istanbul nel quartiere storico della città, a Taksim, dove si trova il Parco Gezi. «Per qualche anno, poiché cadeva il Ramadan – prosegue Cinar – ufficialmente la motivazione era che la manifestazione avrebbe potuto disturbare questo mese, quindi una questione morale. Quest’anno invece il Ramadan è già passato, quindi si è motivato il divieto con l’ordine pubblico, quindi una motivazione effettiva».

Ufficialmente in Turchia l’omosessualità non è un reato, ma gli attivisti denunciano crescenti abusi e violazioni, resi ancora più intensi negli ultimi due anni, con l’introduzione dello stato d’emergenza post-golpe. Le normative d’eccezione hanno favorito divieti generalizzati delle iniziative pubbliche, come quello che dallo scorso novembre impedisce qualsiasi evento nella capitale, Ankara.

Siamo di fronte a un peggioramento delle condizione delle persone Lgbt in Turchia?

«La Turchia non è stata mai un Paese facile per le cosiddette minoranze, linguistiche oppure di identità sessuale. Le persone Lgbt sono state sempre tra le prime a essere colpite, soprattutto le persone trans. La Turchia è in cima alla lista europea degli omicidi contro le persone trans e la maggior parte di loro è spinta a svolgere per forza l’attività di lavoratrici e lavoratori del sesso. In questi ultimi 15-17 anni di governo dell’Akp le cose sono diventate ancora più difficili».

Che cosa è cambiato?

«Abbiamo assistito alla nascita e alla crescita di un sistema scolastico che promuove contenuti estremamente nazionalisti, fondamentalisti, conservatori, omofobi e anche transfobici. Il discorso quotidiano dei dirigenti di partito e del governo, poi, non dice niente di diverso e influenza la lingua, il linguaggio, la terminologia usata dai media. Abbiamo una serie di media mainstream, canali televisivi, radio, giornali oppure riviste, che parlano delle persone Lgbt come delle persone malate, da curare, e questo contribuisce a costruire una società sempre più omofoba e transfobica».

In Turchia si è appena votato e il presidente Erdogan ha ottenuto una netta vittoria, rendendo ancora più salda la propria posizione. Nelle anime che muovono questa piazza si può trovare qualche seme di una opposizione sociale all’attuale sistema?

«In Turchia l’opposizione c’è sempre stata, c’è e molto probabilmente ci sarà sempre. Anche per questo i governanti hanno paura di un’opposizione forte e per quello i centri di detenzione sono pieni di avvocati, giudici, politici, studenti, attivisti e professori universitari. Si tratta di una società molto grande e molto forte che resiste da parecchi anni nonostante la repressione del governo e cerca di costruire la sua alternativa nel mondo politico e partitico oppure in piazza. Anche durante la rivolta di Parco Gezi le persone Lgbt erano in prima linea, perché sono tra le persone colpite prima di tutti, così come le donne. Credo che da questa piazza possa nascere tutto. Come diceva Neruda, “potranno tagliare tutti i fiori ma non fermeranno mai la primavera”».