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Le strumentalizzazioni della croce

La società e le chiese tedesche hanno recentemente vissuto un interessante dibattito: la stampa nostrana non se n’è accorta, naturalmente, ma esso, a mio giudizio, è di notevole interesse anche per il nostro paese e per le cristiane e i cristiani italiane (su Riforma ne avevamo parlato qui a inizio di maggio, ndr.).

Il Presidente del Consiglio della Baviera, Markus Söder, esponente della Democrazia Cristiana bavarese (alleata, non sempre comoda, del partito di Angela Merkel nel governo nazionale), evangelico luterano e a suo tempo chiamato dalla Direzione ecclesiastica a far parte del Sinodo regionale (incarico lasciato poco prima della nomina a Presidente del Consiglio), vara un decreto nel quale si stabilisce l’obbligatorietà dell’esposizione del crocifisso negli uffici pubblici. Motivazione: esso sarebbe «una presa di posizione visibile a favore dei valori fondamentali dell’ordinamento giuridico e sociale in Baviera e in Germania», nonché «il simbolo fondamentale dell’identità culturale cristiano-occidentale». In un primo tempo, Söder si era spinto a dire che il crocifisso «non è il simbolo di una religione». Da tempo il partito di Söder è impegnato in una campagna identitaria, nazionalistica e favorevole a politiche di immigrazione restrittive. L’uscita sulla croce va ovviamente inquadrata in tale contesto. Così vanno le cose di questi tempi. In Baviera, si capisce…

Tra i primi a reagire, il vescovo cattolico di Bamberg, Ludwig Schick, il quale afferma che la croce «non è il simbolo identitario di alcuna regione né di alcuno stato». Alcuni giorni più tardi, il cardinale Marx, arcivescovo di Monaco e Freising, rilascia un’intervista alla Süddeutsche Zeitung, nella quale afferma tra l’altro: il decreto semina «agitazione e polemica; «Il contenuto del simbolo della croce non può essere definito dallo stato, bensì dal messaggio dell’evangelo e dalla testimonianza delle cristiane e dei cristiani»; «se la croce viene considerata solo come un simbolo culturale, non lo si è capito». Così alcuni (non tutti, come si vedrà) esponenti cattolici. E gli evangelici?

Il Presidente del Consiglio della Chiesa Evangelica in Germania è il vescovo luterano di Monaco, Heinrich Bedford-Strohm. Prima di diventare vescovo, era un professore noto come esponente della «teologia pubblica», cioè di un orientamento che si propone di evidenziare la ricaduta sociale e politica del messaggio cristiano nel mondo d’oggi. Così egli si esprime su un noto quotidiano tedesco: la croce «non può essere ridotta a simbolo di un’operazione culturale o di radicamento identitario coronata da successo; essa è almeno altrettanto (mindestens genauso) il simbolo di una messa in questione di tutti i valori mondani, che induce a riflettere». Insomma: la croce non è solo un simbolo identitario, ma «almeno altrettanto» uno spunto di riflessione. Quanto a incisività teologica ed efficacia pastorale, in confronto a questo vescovo evangelico e «teologo pubblico», il cardinale Marx sembra Karl Barth; ed è sintomatico che un teologo iperliberale e decisamente polemico nei confronti del cattolicesimo e di Barth, come Friedrich Wilhelm Graf, giunga alla stessa conclusione, definendo la dichiarazione di Bedford-Strohm «irritierend unklar» (irritantemente poco chiaro). Ancor peggio, comunque, fa il vescovo luterano di Regensburg, Martin Weiss, in una dichiarazione congiunta con il collega cattolico Rudolf Voderholzer: essi ritengono il decreto bavarese «utile» anche per coloro «che non condividono la fede». Anche qui, difficile non concordare con Graf, che parla di un’«arrogante, autoritaria messa sotto tutela».

Sulla rivista della Chiesa evangelica in Germania, Zeitzeichen, si possono per fortuna leggere, oltre a quelli di Graf, altri commenti condivisibili: «Così non va», afferma ad esempio il caporedattore Reinhard Mawick. Egli si riferisce anzitutto alla strumentalizzazione di Söder, ma per certi aspetti il modo di esprimersi di Bedford-Strohm è altrettanto preoccupante. La teologia «pubblica» accusa quella «tradizionale» di essere astratta e lontana dalla realtà. Al contrario, bisogna cercare di parlare, naturalmente in termini «concreti», di temi rilevanti per i mitici «uomini e donne di oggi», ecc. ecc. Se le dichiarazioni del vescovo dovevano costituire un esempio in tal senso, diciamo che ci sono ampi margini di miglioramento.

La verità, come ha ben mostrato il card. Marx, è che la teologia, se è buona, o anche solo decente, è pubblica di per sé. Proprio perché nasce dalla croce, essa non ha alcun bisogno di strumentalizzarla, né la riduce a stimolo alla riflessione. La considera, invece, grazia e giudizio di Dio. Lo so, sono parole «religiose». Chi però le ha ben ascoltate, sa anche dire la parola «politica» che serve, quando serve e con la chiarezza che serve.