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L’effetto che fa…

Tratto da Notizie Avventiste

Chi pensasse che il nostro Paese ha diversi problemi cui applicarsi, avrebbe certo buone e note ragioni da far valere.

Molti sono i capitoli sui quali occorre lavorare a ritmi serrati e con assidua lungimiranza.

Una breve e davvero sommaria rassegna non potrebbe non annoverare ad esempio: l’alto debito pubblico da stabilizzare, la bassa crescita economica, l’alto tasso di disoccupazione giovanile, una lenta crescita dei consumi interni, un atavico problema di bassa produttività, il sud in notevole ritardo, alcune crisi industriali che coinvolgono poli produttivi di prima grandezza, un sistema di infrastrutture insufficiente e bisognoso di urgente manutenzione, troppe famiglie che vivono sotto la soglia di povertà, un tasso di dispersione scolastica ancora alto, una piattaforma dei diritti di cittadinanza ancora ferma agli anni ’90, e potremmo per amor di patria fermarci qui, senza tuttavia dimenticare anche le tante cose che vanno benino, per un popolo come il nostro che pratica l’autodenigrazione sistematica come vezzo.

Ma di tutto questo sui giornali e sui media, tradizionali o, peggio ancora, sociali, troverete poco riscontro.

I grandi problemi che catalizzano da ultimo l’attenzione generale e sui quali si affannano stormi di sondaggisti sono l’immigrazione e i rom.

Non ha importanza che nell’ultimo anno i flussi migratori si siano ridotti dell’82% e che i rom presenti in Italia siano già sostanzialmente mappati e conosciuti, e in tanti casi integrati. Non ha importanza che un esperimento di fraterna solidarietà come i corridoi umanitari, nato dall’impegno della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (Fcei) in sinergia con la Tavola Valdese, la Comunità di Sant’Egidio e il Governo italiano, abbia mostrato un approccio diverso e più efficace di equilibrio dei flussi e di salvaguardia delle vite umane, tanto da essere stato copiato anche in altri Paesi.

L’attuale compagine governativa, soprattutto nella indomita e qualificata espressione del Ministro dell’Interno, lancia ogni giorno i suoi strali infuocati contro migranti, rom e navi delle ong colpevoli di minacciare la nostra sicurezza e di attentare alla sovranità sui nostri confini.

Il popolo, che di sovranità se ne intende, sembra gradire, e in percentuali elevate assiste plaudente a questa retorica del tempo nuovo per vedere di nascosto l’effetto che fa.

Non diversamente agiscono a dire il vero i Ministri dell’Interno e i capi di Stato di altri Paesi come la civilissima Germania, l’Austria e l’intero gruppo di Visegrad che di migranti ne ha visti per la verità pochini, pochini.

E non susciti troppi entusiasmi neanche la calorosa e pur nobilissima accoglienza tributata dalla Spagna del nuovo governo socialista ai migranti della nave Aquarius, cacciati dalle nostre coste, a sud, nel turbolento confine marocchino; la politica muscolare dei respingimenti e delle altissime reti metalliche non sembra essere stata revocata.

Tutto qui dunque quello che hanno da offrire le moderne democrazie occidentali ai loro popoli come ricostituente ideologico?

Tutto qui quello che l’Unione europea sa dire in tema di rispetto dei diritti umani e di visione prospettica per il futuro?

È  sulla paura del diverso e sulla difesa dei sacri confini che vogliamo spendere le nostre migliori energie?

Il paradigma sovranista non finirà nuovamente per metterci gli uni contro gli altri, come già sta accadendo, e creare scenari già vissuti in epoche non troppo remote?

Il popolo dei credenti, non solo cristiani, per fluido e secolarizzato che sia, intende emozionarsi al suono di questi inni patriottici intonati a tutto volume con inusitata arroganza?

Le chiese cristiane del continente europeo lasceranno che i rosari e le preghiere vengano recitate sulle linee di confine come avvertimento ai naviganti?

Non so esattamente cosa intendesse dire Leo Longanesi quando asseriva, non privo della consueta ironia, che gli Italiani sono tutti estremisti per prudenza.

Ma per una volta potremmo forse sospettare che, contrariamente all’adagio popolare, la prudenza stia diventando davvero troppa.

Chissà che non ci sia ancora modo di guardare indietro alla nostra storia di migranti, non sempre di buon partito, e di infamati e calunniati dal pregiudizio altrui, e tornare a ragionare sui problemi, assumendo la sfida della complessità del nostro tempo non come fumisterie delle élite, ma come unica modalità promettente per costruire un futuro migliore. Facciamo ancora in tempo? Lo dico così …, giusto per vedere di nascosto l’effetto che fa.