04-lagoverney

Un nuovo dialogo tra scienza e fede?

Nell’antichità, nella cultura che si riflette anche nella Bibbia, prevaleva una visione del mondo in cui la terra si trovava al centro, sovrastata da una volta solida a cui erano appesi il sole, la luna e le stelle. L’astrofisica ci offre oggi una visione molto diversa: il sole è una stella di media grandezza in una galassia che ne contiene cento miliardi, mentre oltre cento miliardi sono le galassie che popolano l’universo, il quale ha 13,7 miliardi di anni. La terra, in questa immensità, appare come un minuscolo granello di polvere in un salone. È chiaro che il linguaggio della fede, per essere compreso, deve tener conto di questa nuova visione. Bisogna superare la prima impressione, che è di non contare niente e non significare niente. Ma come? Molti teologi e teologhe si sono dedicati a questo compito, fin dal secolo scorso.

Il libro oggetto di questa recensione* contiene le riflessioni di cinque teologi e una teologa: José Arregi, Leonardo Boff, Ivone Gebara, Manuel Gonzalo, Diarmuid O’Murchu, José Maria Vigil. Sono teologi cattolici che appartengono all’area del dissenso; chi più chi meno ha avuto problemi con la gerarchia. Ognuno ha al suo attivo numerose pubblicazioni che spaziano dalla teologia all’antropologia, alla psicologia, all’ecologia.

I contributi si leggono con interesse, per le proposte di un linguaggio adeguato alle attuali conoscenze, ma soprattutto per l’emozione e l’ammirazione che trasmettono davanti a un universo che si presenta come complesso e profondamente connesso, in cui ogni evento, compreso l’emergere della coscienza, è legato ai precedenti. Comune all’autrice e agli autori è il rifiuto della divisione tradizionale tra naturale e soprannaturale, tra un piano superiore di realtà e un piano inferiore (che già Bultmann nel 1942 aveva messo in discussione). In base a quello che sappiamo delle particelle subatomiche, in perenne movimento e in continua interrelazione, diventa davvero impossibile parlare di materia inerte e immobile. Tutto è pervaso di energia. Secondo la fisica quantistica, tutto potrebbe aver origine da un «Vuoto Gravido», da un’«Energia di Fondo», da un «Abisso che alimenta tutto l’Essere». Arregi si chiede se lo Spirito che «aleggiava sulle acque» (Genesi 1, 2) potrebbe essere inteso come «inafferrabile metafora del vuoto quantistico» (p. 71). Boff al contrario afferma che l’Energia di Fondo «rimanda a una Realtà che è ancora più misteriosa e indecifrabile del Vuoto Gravido». Questo «è una metafora di questa Realtà Originaria» (p. 112).

Energia e mistero sono le espressioni più ricorrenti, usate per parlare di Dio, che non è più pensato come un Essere totalmente staccato dalla realtà dell’universo. La creazione non è più un atto concluso, ma un processo in continua evoluzione. Dove andrà non sappiamo, ma Boff può dire, richiamandosi a Teilhard de Chardin: «Il suo esito finale non sarà quello della morte termica, come comunemente si sostiene, ma quello del trionfo dell’organizzazione sul disordine e della vita sulla morte» (p. 99).

Nel libro troviamo però anche posizioni che tendono a svalutare il messaggio biblico. La religiosità più antica è bipolare, dice Vigil: «noi e la natura, che è sacra, divina» (p. 126). In seguito la religiosità è diventata tripolare: noi, la natura ridotta a materia inerte, privata del suo carattere divino, che «è stato ipostatizzato come un’entità separata». Il carattere divino va ricuperato all’interno della natura. Il cosmo come rivelazione, appunto. La celebrazione riportata in fondo al volume ripercorre in trenta tappe l’evoluzione dell’universo, vista come una nuova storia sacra (sottotitolo del libro). Nasce così una «spiritualità ecocentrata», contrapposta alla spiritualità giudaico-cristiana, che «volta le spalle alla natura» (p. 119). Niente di più falso. Se per Israele la natura fosse stata inerte, come avrebbe potuto svilupparsi la musica? Che cosa sono gli strumenti, se non materia vibrante? E i pascoli e le valli, che, nel Salmo 65, prorompono in gridi di gioia? Volta le spalle alla natura il popolo che rispetta riposo della terra nell’anno sabbatico? Qui siamo di fronte a una profonda incomprensione. Il motivo è che per Vigil la natura è «una fonte spirituale» (p.119). Di fronte all’universo che si svela attraverso l’indagine scientifica, la storia biblica perde significato.

Ma adottare la prospettiva opposta, secondo cui è la storia biblica, che attesta l’azione in cui Dio rivela se stesso, a dare significato al cosmo, è davvero un arretramento? Non c’è contrasto tra scienza e fede; hanno ragione gli autori ad affermarlo. A patto di non dimenticare la differenza tra svelamento e rivelazione. La scienza svela, solo Dio si rivela. Il Dio di Israele e di Gesù Cristo, non l’Essere supremo e separato del teismo. Il Dio, che, pur essendo altro, mistero, ci parla e si lascia interpellare.

* Claudia Fanti – José Maria Vigil (a cura di), Il cosmo come rivelazione. Verona, Il Segno dei Gabrielli, 2018, pp. 231, euro 17.