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Racconti al femminile

Il restauro di Villa Borromeo d’Adda di Arcore è stato l’occasione per l’allestimento di una mostra che mette al centro il mondo femminile, un tema suggerito dalla presenza in villa di una particolare cappella di Vincenzo Vela dedicata a Maria Isimbardi, giovane sposa si Giovanni d’Adda. Il percorso raccoglie le immagini e le storie di donne dell’800 e dei primi anni del ‘900 e attraverso di loro si parla di educazione, di maternità, di vita agricola, della nascita di alcune professionalità ma anche della storia d’Italia. L’immaginario femminile è raccontato attraverso la pittura, specchio della società, attraverso gli occhi dei grandi artisti che l’hanno ritratto.

Ne parla la curatrice Simona Bartolena.

Il periodo in analisi è di grandi cambiamenti sociali e tecnologici, questo in che modo viene fuori attraverso la vita di queste donne?

«Guardando le opere cambia proprio il modello femminile: man mano che si viene verso il ‘900 si percepisce che le donne hanno acquisito una maggior consapevolezza di sé, una maggior libertà, una maggior emancipazione. Anche il modo in cui le donne si pongono di fronte agli occhi degli artisti e il modo in cui l’artista, che mediamente apparteneva alla classe borghese, guardava la femminilità, evolve. L’800 è fondamentale per l’emancipazione femminile, non solo in ambito politico con le prime richieste di partecipazione al voto, ma anche per il ruolo della donna in famiglia e nel rapporto con la maternità. Ci sono molti ambiti in cui l’800 ha un ruolo importante e tutto ciò emerge guardando le iconografie dei dipinti: dall’eroina da romanzo romantico si passa a una femminilità molto più consapevole e quindi anche più disinibita, più libera, meno codificata dal punto di vista della condotta sociale. Nelle ultime opere già si racconta una donna di inizio ‘900 in cui il senso della femminilità è assolutamente moderno».

Fino a che punto la femminilità che appare nei dipinti può essere considerata rappresentativa della reale condizione della donna?

«Nel ritratto è vero che i soggetti possono non essere presi a esempio di una condizione femminile generalizzata. Il altri dipinti però è anche vero che viene raccontata la vita di campagna, certamente sempre molto idealizzata, con la contadina, la fioraia, la donna del popolo. Ovviamente ogni rappresentazione è sempre passibile di un tasso di idealizzazione dell’occhio dell’artista e dell’acquirente, però non è soltanto un ritratto borghese o alto borghese il protagonista delle opere. Al centro della rappresentazione ci sono anche scene di genere che rappresentano la partecipazione della donna al Risorgimento, alla vita lavorativa con gli elementi che non appartengono a ceti sociali così elevati come potrebbero essere quelli che potevano permettersi un ritratto».

Quali sono gli elementi che fanno comprendere meglio quello che è stato il cammino dell’emancipazione femminile nel percorso della mostra?

«Si è ricalcato in modo evidente l’approccio che ha avuto il movimento della scapigliatura lombarda verso la donna: da quel momento in poi cambia il modello femminile. Dalla donna medievale, rinascimentale, eroina letteraria, si passa a una donna disinibita che ti guarda negli occhi. È evidente come questo movimento abbia creato un codice diverso sulla femminilità sebbene persista una modalità molto maschile di guardare la donna: molto esterna, spesso si percepisce un atteggiamento abbastanza malizioso, un po’ voyeuristico che è innegabile e inequivocabile. Salta senz’altro all’occhio che non ci sono artiste: nell’800 italiano la donna artista è rarissima però abbiamo voluto concludere la mostra con un’opera di Carla Maria Maggi. Lei è già una pittrice degli anni ‘30 del XX secolo, nonostante una storia molto complessa anche per via il marito non voleva che lavorasse. L’abbiamo voluta nel percorso proprio per avere almeno una pittrice donna in mostra e chiudere con questa riflessione: bisogna aspettare il ‘900 inoltrato perché figure femminili si facciano strada in pittura».