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Da un governo all’altro, Giulio Regeni da “caso” diventa “problema”

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha improntato la sua campagna elettorale e ora la sua politica di governo sullo slogan “prima gli italiani”; prima i loro diritti, le loro necessità, le loro richieste di giustizia.

Pochi giorni dopo il suo insediamento, il ministro Salvini ha preso di petto i governi di tre paesi: Tunisia, Malta e Francia.

Ci sarebbe stato da alzare la voce anche nei confronti di un quarto governo, quello dell’Egitto: dove il cittadino italiano Giulio Regeni 28 mesi fa è stato sequestrato, torturato e ucciso ad opera di funzionari di quello stato.

Ce lo aspettavamo, dato che nella precedente legislatura l’allora leader dell’opposizione aveva incalzato i governi dell’epoca a essere più decisi nei confronti del Cairo.

E invece, da ormai quattro giorni ascoltiamo e leggiamo parole misere e meschine circa la richiesta di verità per il cittadino italiano Giulio Regeni.

Altro che governo del cambiamento. Come per l’ex ministro degli Esteri Angelino Alfano l’Egitto era un “partner ineludibile”, ora per il ministro Salvini l’Egitto è un “paese importante” con il quale “è fondamentale avere buone relazioni”.

Così come l’ex titolare della Farnesina, quello odierno del Viminale comprende bene la richiesta di giustizia della famiglia di Giulio Regeni, figuriamoci! Però quella richiesta deve rimanere una pretesa privata e non un vincolo per la politica estera del governo. Altrimenti diventa un “problema”. Paradossalmente, cercare la verità sull’assassinio di Giulio dovrebbe essere un problema per le autorità egiziane, e invece lo è per le nostre.

“Prima gli italiani” evidentemente è uno slogan che non vale per gli italiani ammazzati all’estero nei paesi amici. Quanto agli egiziani in carcere – come Amal Fathy per la quale stanno digiunando migliaia di persone –  scomparsi, condannati ingiustamente a lunghe pene detentive o uccisi, semplicemente non esistono.