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Libano, la cittadinanza è un privilegio?

Il 6 maggio 2018 in Libano si sono tenute le elezioni generali, con cui si sono assegnati i 128 seggi del Parlamento. La nuova maggioranza dovrà arrivare a un accordo per il nuovo governo. La vera domanda tra la popolazione, più che la composizione del nuovo esecutivo e gli equilibri che esprimerà, è relativa a quanto tempo impiegherà la politica a deludere le già scarse aspettative in un Paese che sembra sempre congelato, ma percorso da una certa tensione. Ma mentre il nuovo governo dev’essere ancora formato, per l’esecutivo uscente non mancano i motivi di scontro: in particolare, ci sono dubbi e perplessità sulla proposta di naturalizzazione di, si dice, 375 cittadini di origine siriana, palestinese e irachena, in buona parte ad alto reddito o comunque con grandi ricchezze. Tra loro, si contano 260 cristiani e 115 musulmani.

A questo proposito, il partito Tayyar Al-Mustaqbal, Movimento il Futuro, guidato dal primo ministro uscente e designato Saad Hariri, nella giornata di martedì ha tenuto una riunione e poi una conferenza stampa, affermando che è necessaria una nuova legge per regolamentare i processi di naturalizzazione senza contrastare con il diritto costituzionale del presidente di concedere la cittadinanza a coloro che ritiene opportuni. La questione, ancora una volta, sembra innestarsi sulla distanza politica e geopolitica tra Hariri, supportato dall’Arabia Saudita e lui stesso con seconda nazionalità saudita, e il presidente Michel Aoun, cristiano maronita supportato da Hezbollah, il partito sciita molto vicino all’Iran e al governo siriano di Bashar al-Assad.

In risposta ai dubbi e le perplessità espresse da molti ambienti, il presidente Aoun ha deciso di rinviare la pubblicazione dei nomi elencati per la naturalizzazione fino a quando non saranno completati ulteriori controlli e le cosiddette verifiche di background, ovvero la storia di queste persone in relazione, per esempio, a gruppi ritenuti terroristici o a illeciti compiuti nei Paesi di origine e rilevanti anche in Libano. In seguito a questa scelta, il movimento Tayyar Al-Mustaqbal ha confermato il sostegno al presidente. Tuttavia, nella sua dichiarazione Hariri ha affermato che «i recenti episodi di concessione della cittadinanza libanese e il pubblico scetticismo scatenato sono indicatori del fatto che è necessaria una nuova legge che non violi il diritto costituzionale del presidente di concedere la cittadinanza a coloro che ritiene idonei, ma regoli il processo».

La questione è apparentemente di poco conto, e in effetti riguarda direttamente un numero limitato di persone, eppure la dura reazione del patriarca maronita Béchara Boutros Raï, massima autorità cristiana in Libano, fa pensare che non sia così. Secondo Béchara Raï, il decreto va assolutamente ritirato, perché tra i suoi potenziali beneficiari ci sono “nomi sospetti” che non garantiscono, si dice, «l’onorabilità dovuta alla nazionalità libanese». Fuor di retorica, ad alimentare le polemiche contribuiscono le indiscrezioni mediatiche sulle indagini che i servizi di sicurezza starebbero realizzando su alcune persone della lista, considerate molto vicine al regime siriano di Bashar al-Assad. Secondo una fonte della cooperazione internazionale presente a Beirut, va capito se la concessione della nazionalità libanese a personalità vicine al governo siriano possa rappresentare un escamotage per aggirare, almeno parzialmente, l’embargo economico e commerciale internazionale che colpisce la Siria e che ha portato al quasi totale fallimento del settore agricolo libanese.

Il Patriarca Raï aveva espresso le sue obiezioni al decreto di naturalizzazione anche nell’omelia della messa celebrata domenica 10 giugno, a conclusione del Sinodo annuale dei vescovi maroniti. In quella circostanza il Primate della Chiesa maronita aveva fatto notare che il decreto di naturalizzazione è incostituzionale, in quanto viola il preambolo della Costituzione libanese, che nega la concessione della cittadinanza libanese a «stranieri senza ascendenza libanese».

Ma il punto davvero interessante è un altro, lontano dalle questioni di geopolitica e molto più vicino alla popolazione. Il decreto di naturalizzazione del presidente Michel Aoun, infatti, ha riacceso l’indignazione per l’impossibilità delle donne libanesi di trasferire la cittadinanza ai loro figli e ai coniugi stranieri.

Per i cittadini che possono pagare grandi somme di denaro, oppure a chi porta con sé una convenienza politica, dicono insomma i critici, non ci sono problemi, mentre per le donne non ci sono ancora pieni diritti di cittadinanza.

È interessante la storia di Vicky Abboud Stauffer, una cittadina libanese, sposata con un uomo con  madre libanese e padre svizzero. Un decreto del 1925, emendato e convertito in legge nel 1960, proibisce a questa donna di passare la cittadinanza a suo figlio o a suo marito, che non poteva riceverla attraverso la madre libanese.

Di conseguenza, il loro figlio quindicenne Rolf, nato e cresciuto in Libano, viene trattato legalmente come straniero nonostante le origini libanesi della sua famiglia.

Da questo discende il fatto che ogni tre anni Vicky Abboud Stauffer deve andare negli uffici della Sicurezza Generale per rinnovare la residenza di suo figlio, un processo che ha descritto come «umiliante».

Prima del 2010 le cose erano ancora peggiori, ma l’allora ministro dell’Interno Ziad Baroud aveva modificato i regolamenti per i coniugi stranieri e i figli delle donne libanesi, garantendo loro la residenza gratuita con una scadenza di tre anni. In precedenza, i coniugi e i figli dovevano rinnovare la residenza su base annuale e pagare una tassa ogni volta. Sebbene non fosse lo scopo finale delle iniziative della società civile, in molti avevano elogiato la riforma, ma i recenti decreti di naturalizzazione hanno riacceso il fastidio per questa disparità di trattamento.

La conclusione della storia della famiglia Stauffer è un esempio delle conseguenze di questa norma: quando Rolf dovrà entrare all’università lo farà in un Paese straniero, perché senza la cittadinanza libanese qui gli sarebbero precluse molte professioni e non potrebbe nemmeno ereditare le proprietà di famiglia.

Il Ministro degli Esteri Gebran Bassil ha recentemente proposto di autorizzare le donne libanesi a trasmettere la propria nazionalità, tranne nei casi in cui i loro mariti provengono da “paesi vicini”.

Tuttavia, il direttore esecutivo della Women’s Learning Partnership, Lina Abou Habib ha dichiarato di non credere che questa proposta si concretizzerà.

Foto: Libano, donna, di Marco Magnano