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Era solo una torta… oppure no?

«Posso prepararvi una qualsiasi torta, di compleanno per esempio, ma non una torta nuziale. Questo andrebbe contro le mie convinzioni religiose riguardo al matrimonio fra persone dello stesso sesso». Deve avere detto più o meno così, in un giorno del 2012, il pasticcere di Denver (Colorado) Jack Phillips alla coppia che voleva una torta per festeggiare il suo matrimonio.

La coppia, che peraltro si era sposata solo civilmente, si è appellata all’Atto per l’anti-discriminazione del Colorado (Cada) e la vicenda è finita dal tavolo della Commissione per i diritti civili del Colorado alla Corte Suprema, che lo scorso 4 giugno ha pronunciato il suo verdetto: Phillips, «esperto pasticcere e cristiano devoto», aveva tutto il diritto di dire no.

Questo per quanto il Cada proibisca, sottolinea la sentenza, «una discriminazione basata sull’orientamento sessuale in un luogo commerciale coinvolto in una qualsiasi vendita al pubblico e in qualsiasi luogo offra dei servizi al pubblico», e nonostante la Commissione per i diritti civili del Colorado avesse dato ragione alla coppia contro Phillips, che appellandosi al Primo Emendamento sosteneva che essere obbligato a preparare quella torta andava contro la propria libertà di espressione, dovendo «esercitare il proprio talento artistico per esprimere un messaggio con il quale era in disaccordo e che avrebbe violato il suo diritto al libero esercizio della propria religione».

Da un lato i diritti civili e la lotta contro le discriminazioni, dall’altro il diritto di espressione e di credo religioso: a chi dare ragione? Se lo sono chiesti i nove giudici della più alta autorità giudiziaria americana, e sette si sono orientati verso la seconda, dichiarando, secondo le parole del giudice Kennedy, estensore della sentenza, che «la decisione della Commissione per i diritti divili contiene alcuni elementi di chiara e inammissibile ostilità nei confronti di un sincero credo religioso che ha motivato la sua [di Phillips, ndr] opposizione».

Intorno alla torta della discordia si è svolto un dibattito che va ben oltre il caso specifico, fin dall’apertura del procedimento della Suprema Corte, lo scorso ottobre, innanzitutto con una dichiarazione congiunta della Chiesa episcopale americana, della Chiesa evangelica luterana in America, del Sinodo generale della United Church of Christ, del Baptist Joint Committee for Religious Liberty e del Theological Seminary di Chicago. Pur nelle loro differenti visioni riguardo alle implicazioni religiose del matrimonio fra persone dello stesso sesso, i loro portavoce dichiaravano (ha riportato il 4 giugno il servizio di informazione della Chiesa episcopale, Ens) che «le leggi anti-discriminazione del Colorado proteggono la libertà religiosa proibendo la discriminazione basata su motivi religiosi […]. Tali leggi promuovono la dignità umana, che è anche un valore religioso, assicurando che tutti gli individui abbiano lo stesso accesso al pubblico mercato. Quando Phillips ha aperto la sua pasticceria è entrato nel commercio pubblico, assoggettandosi alle leggi del Colorado riguardo ai pubblici esercizi, tra cui il divieto di discriminazione». Insomma: nelle chiese ognuno può pensarla come crede e applicare le proprie regole, ma nella società civile e nel commercio valgono le leggi dello Stato…

Il giorno della sentenza, i vescovi cattolici americani hanno invece sostenuto la decisione, «che va nella direzione del rispetto della libertà religiosa», riferisce il giornale francese La Croix riportando le parole della Conferenza dei vescovi degli Usa: «Questa decisione conferma che le persone credenti non devono subire discriminazione a causa delle loro sincere convinzioni religiose. Al contrario, queste devono essere rispettate dalle autorità».

Dichiarando che questa decisione non deve essere assunta come precedente per futuri reclami, il giudice Kennedy ha del resto invitato alla cautela (si legge ancora nella notizia pubblicata da Ens): «I risultati di casi come questo in altre circostanze dovrebbero attendere un’ulteriore elaborazione nelle Corti, riconoscendo sempre che queste controversie devono essere risolte in un clima di tolleranza, senza mancare di rispetto a un sincero credo religioso e allo stesso tempo senza sottoporre le persone gay a un trattamento offensivo quando richiedono beni o servizi in un pubblico esercizio».

Intanto, a diversi gradi di latitudine più a sud, negli stessi giorni della sentenza il Sinodo generale della Chiesa anglicana episcopale del Brasile (Ieab) ha approvato con 57 voti a favore, 3 contrari e 2 astenuti, un cambiamento dei propri canoni per permettere il matrimonio religioso fra persone dello stesso sesso, tema affrontato per la terza volta dall’assemblea di una delle 39 province di cui si compone la Comunione anglicana nel mondo. In Brasile il matrimonio civile è possibile dal 2012 (il caso vuole che sia lo stesso anno dell’inizio della controversia di Denver), e non sarebbero necessari cambiamenti liturgici, in quando l’utilizzo di un linguaggio neutro rispetto al genere è già stato introdotto, per quanto riguarda la cerimonia nuziale, nel Book of Common Prayer del 2015. Il Primate uscente dell’Ieab, vescovo Francisco de Assis da Silva, ha dichiarato (si legge in questo caso su Anglican News): «Ho sentito che la decisione era il risultato della presenza e dell’azione dello Spirito Santo. Questo amplia le nostre frontiere, permettendoci di essere più accoglienti rispetto alla diversità nel nostro paese».