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Sul regolamento di Dublino nasce l’asse Salvini-Orbán

Martedì 5 giugno a Lussemburgo si è tenuta la riunione dei ministri dell’Interno dei Paesi dell’Unione europea. All’ordine del giorno era prevista la discussione sulla riforma del regolamento di Dublino, che definisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide. In questa sede si è discussa la bozza proposta della Bulgaria, Paese presidente di turno del Consiglio europeo, molto differente da quella approvata lo scorso 27 novembre dal Parlamento europeo.

In particolare, il nodo centrale della riforma, su cui non è stato possibile trovare un accordo, è ancora una volta l’introduzione di quote di ripartizione obbligatoria dei richiedenti asilo all’interno dello spazio comune europeo, un principio che l’Agenda europea sull’immigrazione del 2015 considerava fondamentale per il superamento del nucleo del regolamento di Dublino III, approvato nel 2013, che confermava invece il principio secondo cui la competenza sulla domanda di asilo della persona migrante si radica nel Paese di primo ingresso in Europa.

Il ministro degli Interni italiano, il leghista ed ex europarlamentare Matteo Salvini, pur non partecipando alla riunione, aveva annunciato la contrarietà del governo italiano, un parere negativo che ha trovato l’appoggio dei Paesi del cosiddetto gruppo di Visegrád (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia), così come quello di Estonia, Lettonia, Lituania, Germania e Austria. Proprio l’Austria, guidata da un governo di destra con posizioni molto dure sulle migrazioni, assumerà la guida del Consiglio europeo a partire da luglio, mettendo seriamente in crisi ogni ulteriore ipotesi di riforma.

Ma in che cosa la proposta bulgara risulta così diversa da quella votata ad ampia maggioranza dal Parlamento europeo lo scorso novembre? L’eurodeputata italiana Elly Schlein (Possibile – Gruppo dei Socialisti e Democratici), che era stata relatrice della riforma approvata a Strasburgo a novembre, spiega che la versione votata in Parlamento «cancellava l’ipocrisia principale di Dublino, il criterio del primo Paese di accesso, che ha messo tutte le responsabilità dell’accoglienza sui Paesi ai confini “caldi” della nostra Unione. Noi abbiamo finalmente, con un lungo e difficile negoziato, convinto i colleghi che la responsabilità dell’accoglienza sia europea e non sia di un singolo Stato membro e quindi che bisognasse mettere in campo un sistema che al posto di quel criterio ipocrita avesse un meccanismo permanente e automatico di ricollocamento che obbligasse tutti gli Stati membri europei, anche i più riluttanti, a fare la propria parte sull’accoglienza, proprio perché non si possono volere solo i benefici di far parte di una grande unione, ma bisogna condividere anche le responsabilità che logicamente ne derivano». Per contro, la bozza che è stata presentata ieri ai ministri dell’Interno prevede un approccio a tre fasi molto più conservativo rispetto al regolamento attualmente in vigore. In circostanze normali, infatti, non solo il criterio del primo Paese d’ingresso rimane immutato, ma vede l’aggiunta di una responsabilità permanente in capo a questo Paese per 8 anni, nei quali uno Stato sarebbe e rimarrebbe responsabile su quella singola richiesta di asilo, a prescindere dalla storia della persona interessata in quegli anni. «C’è poi – aggiunge Schlein – una questione di sanzioni pesantissime per i movimenti secondari, che il Parlamento aveva voluto rigettare in toto, perché è un approccio lesivo dei diritti fondamentali delle persone e pure inefficace». Al raggiungimento di determinate quote, la proposta bulgara introduce alcuni meccanismi: con un numero di domande d’asilo pari al 120% rispetto alla quota condivisa tra tutti gli Stati, pari ad almeno allo 0,1% della popolazione di un Paese, quindi per l’Italia almeno 70.000 richieste d’asilo, scatta una fase critica in cui ci sarebbe un ricollocamento volontario, simile a quello mai attuato del 2015. La terza fase, quella definita di severe crisis, prevede invece un ricollocamento obbligatorio, ma per arrivarci occorre che si attivi una soglia ancora più alta di domande, il 140%, che corrisponde almeno allo 0,15% della popolazione, ovvero almeno 90.000 richieste di asilo in Italia, ma richiede una proposta della Commissione europea approvata a maggioranza qualificata dai governi che siedono al Consiglio. «Non una risposta strutturale e finalmente europea – chiarisce Schlein – come quella che chiede il Parlamento, ma di nuovo soluzioni ad hoc da votare in Consiglio».

Prima di questo vertice i Paesi mediterranei come Italia e Grecia avevano sostenuto la necessità di una riforma del regolamento, ma l’insediamento del nuovo governo “gialloverde” e la sostanziale inefficacia della bozza bulgara hanno portato Roma sulle posizioni di Budapest. Il sistema delle quote di ripartizione, infatti, è sempre stato osteggiato dai Paesi dell’Europa orientale, che hanno sempre criticato possibili accordi che permettessero a Italia e Grecia di non essere lasciate sole a occuparsi dell’accoglienza dei richiedenti asilo.

Il ministro degli Interni Matteo Salvini ha affermato ieri di considerare l’esito della riunione «una vittoria per noi», ritenendo che anche gli Stati contrari più moderati, come la Germania, abbiano seguito le indicazioni italiane. «Fa sorridere – commenta Elly Schlein – che il neoministro Salvini dica che è stata una vittoria. Senz’altro quella bulgara è una bozza che va rigettata, ma bisogna sedersi a quel tavolo e negoziare una riforma migliore. Già il governo precedente si stava opponendo insieme ad altri Paesi mediterranei a questa bozza». Dalla riunione di ieri è emersa anche una nuova tendenza, quella alla creazione di un asse tra Italia e Ungheria, tra Salvini e Orbán. «È un asse – afferma Schlein – tutto a spese dell’Italia, perché se non cambia Dublino l’Italia perde, insieme a tante persone deboli che hanno un problema con questa riforma, che le blocca ingiustamente in Paesi dove non hanno legami, dove non ci sono strutture ricettive adeguate. Temo che Salvini andrà a sbattere contro il muro di Orban, perché si renderà conto che è una contraddizione insanabile quella tra i Paesi dell’est che non vogliono neanche sentir parlare di solidarietà e quello di Paesi come il nostro che non hanno bisogno solo di solidarietà finanziaria, perché non è mai bastata, ma proprio di condividere la responsabilità e di creare un sistema più umano e più rispettoso dei legami delle persone». Nel suo discorso al Senato per la richiesta della Fiducia, inoltre, il presidente del consiglio italiano Giuseppe Conte si è espresso a favore di un compromesso, rimarcando la presenza nel contratto di governo della riforma del regolamento di Dublino.

Subito dopo la riunione, il presidente del Parlamento europeo, l’italiano Antonio Tajani, ha scritto ai capi di Stato e di governo dell’Unione per esortarli a salvare il negoziato sui ricollocamenti dei rifugiati, di cui si dovrà discutere a Bruxelles il prossimo 28 e 29 giugno. Nello stesso momento il segretario di Stato belga per l’Immigrazione, Theo Francken, ha invece affermato che «la riforma di Dublino è morta» e ha poi anticipato una svolta verso i respingimenti in mare dei migranti nel Mediterraneo durante la presidenza austriaca dell’Unione europea, che inizierà a luglio. Il ministro dell’Interno di Vienna, Herbert Kickl, ha infatti annunciato che l’Austria «proporrà una rivoluzione copernicana nel settore del sistema d’asilo». «La presidenza austriaca che arriverà appena dopo quella bulgara – ribatte Schlein – forse immagina di fare un blocco navale o di fare rimpatri direttamente dalle coste italiane, ma a parte che si tratterebbe di soluzioni disumane, l’Italia non può esimersi dall’essere Paese di frontiera, non possiamo veramente pensare di sigillare un intero mare. Questo tema richiede solidarietà, condivisione delle responsabilità, come chiedono i trattati, e anche molta più umanità». 

Tuttavia, per il commissario europeo per l’Immigrazione, Dimitris Avramopoulos, questa ipotesi non esiste: «noi non facciamo i respingimenti perché la nostra politica è guidata dal principio del rispetto dei diritti umani e della Convenzione di Ginevra», ha infatti dichiarato. Tuttavia, con la stagione estiva alle porte e con le elezioni europee previste per la primavera del 2019, ormai il tempo a disposizione sta finendo e lo stallo non fa che rafforzare le posizioni di chi preferisce mantenere il sistema inalterato.