negro_luca

Il presidente Fcei Luca Maria Negro interviene sui temi dell’attualità politica italiana

Di ritorno dall’Assemblea della Conferenza delle chiese europee (Kek) appena conclusasi a Novi Sad (Serbia), il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), pastore Luca Maria Negro, interviene sui temi dell’attualità politica italiana.

Si è conclusa ieri a Novi Sad l’Assemblea della Conferenza delle chiese europee (Kek), un organismo internazionale che raccoglie circa 115 chiese di tradizione protestante, anglicana, vecchio-cattolica e ortodossa. Lei ha partecipato all’Assemblea in qualità di oratore, tenendo uno studio biblico sul tema dell’accoglienza dello straniero. Ha l’impressione che la preoccupazione delle chiese evangeliche italiane per la situazione dei migranti sia condivisa dalle chiese europee?

Certamente: tra gli impegni presi dall’Assemblea nel documento finale sulle questioni pubbliche vi è quello di favorire lo sviluppo di vie sicure e legali per i profughi verso l’Europa, ricordando ai governi le loro responsabilità verso il soccorso in mare di migranti alla deriva e invitando a non criminalizzare gli atti di solidarietà verso i migranti. Nel documento approvato vi è un riferimento esplicito al progetto pilota dei Corridoi umanitari promosso dalla FCEI, dalla Tavola valdese e dalla comunità di Sant’Egidio.

Come commenta i primi passi del nuovo governo?

Su alcuni annunciati provvedimenti economici e previdenziali non mi pronuncio perché dovremo capirne la consistenza e la sostenibilità finanziaria. La speranza è che vadano incontro a un diffuso bisogno di sicurezza sociale e di sostegno al reddito che si avverte da anni: soprattutto tra i giovani e nel Mezzogiorno per i quali gli effetti della modesta ripresa che pure esiste sono ancora incerti e poco incisivi.

Mi preoccupa molto, invece, il capitolo “immigrazione”, che a giudicare dalle parole e dai gesti dedicati al tema appare il centro dell’azione di questo governo che sembra affidare al ministro dell’Interno un ruolo decisivo persino nel dettare l’agenda internazionale: l’idea improvvisata di un’alleanza con l’Ungheria, invece che con i paesi storicamente più vicini all’Italia, desta un certo sconcerto. Pur acconsentendo all’idea che si debbano governare i flussi migratori e contrastare le sacche di irregolarità e illegalità, ci preoccupano espressioni come “è finita la pacchia”, riferite a persone che vivono in condizioni di sofferenza, di marginalità e di discriminazione. L’altro giorno un immigrato è stato ucciso nei pressi di Rosarno e la notizia è già sparita dalle pagine dei giornali: è questa la pacchia? O quella dei lavoratori immigrati che nelle campagne del Mezzogiorno vengono retribuiti 15 o 20 euro al giorno? O quella dei 48 morti nell’Egeo mentre scappavano da violenze e torture? Sì, siamo preoccupati ma anche determinati a svolgere il nostro compito di cristiani.

E cioè?

Me lo faccia dire con una parola del Nuovo Testamento: filoxenìa, letteralmente “amicizia per lo straniero”, termine di solito tradotto con “ospitalità” (Lettera agli Ebrei 13,2). Noi siamo per la fraternità e l’amicizia nei confronti dello straniero, dell’immigrato, del richiedente asilo. E lo siamo per quello che leggiamo nella Bibbia e che, come cristiani, siamo chiamati a concretizzare con i nostri gesti e le nostre azioni. Fautori della filoxenìa, non possiamo che opporci alla xenofobia.

Più praticamente?

Noi accogliamo. Accogliamo con i corridoi umanitari che abbiamo realizzato insieme alla Tavola valdese e alla comunità di Sant’Egidio e grazie ai quali ad oggi sono arrivati in Italia, legalmente e in sicurezza, oltre 1.200 profughi in condizioni di vulnerabilità. Accogliamo nei nostri centri e nelle nostre opere diaconali, accogliamo collaborando con le ONG che fanno ricerca e soccorso nel Mediterraneo. Il cristiano accoglie e non può fare altrimenti.

Ma ci sono dei limiti e delle norme.

Certo, e per questo crediamo che la soluzione al dramma delle migrazioni globali non sia solo sulle nostre spalle, ma spetti alla politica nazionale ed europea. Come evangelici non crediamo di doverci sostituire ai politici che hanno il compito di trovare soluzioni sostenibili e condivise dalla maggioranza. Ma sappiamo anche che la nostra vocazione non è blandirli o cercarne il plauso: al contrario siamo chiamati a interrogarli, a pressarli, a contraddirli quando promuovono politiche inaccettabili per la nostra coscienza.

Dialogo impossibile, allora, con questo governo?

Tutt’altro. Questo governo ha un consenso e una maggioranza e noi ci auguriamo che operi al meglio e nell’interesse generale. E di fronte alle criticità e ai problemi siamo pronti a fare la nostra parte come espressione della società civile. La questione delle migrazioni mediterranee non si risolve con formule fantasiose o invocando insostenibili chiusure: è il tema del nostro secolo, la sfida più grande che abbiamo di fronte e ciascuno deve fare la sua parte, in Italia, in Europa e anche nei paesi di emigrazione. Avevamo scritto anche al precedente presidente del Consiglio per metterci a disposizione per interventi umanitari “a casa loro”, purché rispettosi delle norme e dei diritti umani. E la stessa cosa diciamo al governo presieduto da Giuseppe Conte.

Oltre all’immigrazione, avete altri temi che vi preoccupano?

Due temi di libertà: la libertà religiosa e i diritti civili. Quanto alla prima ci preoccupa la tendenza a ridurre il problema a questione di ordine pubblico, mentre è un tema di civiltà giuridica. Sotto questo profilo l’Italia registra alti e bassi: gli alti della Costituzione, delle Intese già stipulate con varie confessioni religiose; ma anche i bassi della permanenza della legge di epoca fascista sui “culti ammessi” e delle Intese congelate o mai messe in cantiere, prima fra tutte quella con l’islam che oggi in Italia raccoglie quasi due milioni di persone.

L’altra questione è quella dei diritti civili. Nei giorni scorsi abbiamo sentito da parte di un ministro parole gravi e inaccettabili sulle famiglie gay e sulle unioni omosessuali. Abbiamo fiducia che sia stata una “voce dal sen fuggita” perché, di fronte a tanti problemi urgenti sul tappeto, sarebbe davvero irresponsabile riaprire una questione che, dopo lungo dibattitto, ha trovato una soluzione a nostro avviso equilibrata.

Torniamo alla Kek. Che cosa si pensa dell’Italia di oggi nelle reti ecumeniche europee?

Anche lì c’è preoccupazione. Ma anche determinazione. Uno dei segnali più belli di questi anni è la sintonia con cui chiese diverse affrontano temi come l’immigrazione. Ed è una speranza anche per l’Europa.