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La Bibbia, un giardino di simboli

Nell’era della comunicazione istantanea e della informazione per lo più per lettori di titoli e didascalie, più di un centinaio di persone riunite per diletto per un seminario di tre giorni sulle Scritture bibliche e il loro contesto culturale è già solo di per sé un evento che Biblia (Associazione laica di cultura religiosa) continua ad inverare.

Il «tempo economico», che ritma pervasivamente le nostre vite, viene sospeso e si apre uno spazio per l’ascolto, la suggestione, il pensiero, il dubbio, la domanda.

È quanto è accaduto ancora una volta ad Aquileia dal 18 al 20 maggio intorno al tema «La Bibbia, un giardino di simboli», un tema quasi connaturato con il luogo, per essere stata Aquileia, oltre che città romana (la nona dell’Impero per importanza), e porto fluviale dal 181 a. C., dal 300 d. C. un patriarcato con l’imperatore Massimiano.

Fino all’811 (quando l’imperatore Carlo Magno portò i confini a nord, dal fiume Danubio al fiume Drava) la sua provincia ecclesiastica arrivava fino al fiume Danubio a nord, al lago Balaton a est, mentre a ovest arrivava fino a Como e all’attuale Canton Ticino. A sud comprendeva l’Istria fino al 1751, anno della soppressione del patriarcato sollecitata da Venezia e dagli Asburgo.

La Chiesa di Aquileia si era elevata a patriarcato per sottolineare l’indipendenza gerarchica da Roma e Costantinopoli: la liturgia officiata nel rito, più tardi detto, patriarchino è rimasta in vigore fino al 1596, e risentiva della corrente giudeo-cristiana del cristianesimo primitivo di Aquileia, in qualche modo, antipaolina e permeata di tendenze gnostiche, giunte presumibilmente fin dai tempi apostolici da Alessandria d’Egitto, con cui Aquileia aveva strettissimi scambi. Questo legame sarebbe supportato anche dal culto del sabato fino 796 e 797, quando il Patriarca Paolo convocò a Cividale un Sinodo dove si approvò un canone (“Canone XIII”) che ordinava la celebrazione della domenica, una tradizione ancor oggi tracciata dalla locuzione friulana sante sabide. Ad Aquileia si studiava Origene e venne salvata la Lettera di Giacomo.

Ad Aquileia, dove si trova il mosaico cristiano più antico e più grande in Occidente (più di 750 m²), tutto questo è espresso con simboli rituali, simboli iconografici, non illustrazioni.

I mosaici dell’aula sud (37×20) della Basilica, (edificata a partire poco dopo l’Editto di Costantino del 313 dal vescovo Teodoro con il diretto appoggio dell’imperatore Costantino), sono stati illustrati da Gabriele Pellizzari, docente di Storia del cristianesimo a Milano proprio come caso di studio di una catechesi non per immagini  ma per simboli appunto, codificati, organizzati in quattro campate aventi come sottotesto, per una sua parte, il pastore di Erma (secondo lo studioso Renato Iacumin), un’opera paleocristiana di genere apocalittico del II secolo il cui protagonista è l’angelo della penitenza che nelle vesti di un pastore invita alla conversione.

Una iconografia come esegesi, una storia della salvezza, un «depositum fidei» che si sviluppa per figure chiave (fra di esse una donna anziana – la sinagoga come chiesa che precede Gesù –, una donna giovane  – la chiesa rinvigorita dall’avvento del Cristo – un pastore che ascende al cielo –Cristo come compimento del Regno –), circondate da altre ma anche da animali terrestri e marini, piante, nodi di Salomone e stelle che rimandano alla stratificazione teologica gnostica, mitraica, giudeo-cristiana che si diceva aver abitato queste terre.

La comunicazione simbolica conferisce alla trasmissione una complessità che lascia spazio alla ricerca mai finita di altri sensi rispetto alla lettera del testo con allusioni e trasposizioni che interpellano la ragione e la immaginazione di cui la fede ha bisogno e che sostanziano tra l’altro la dialettica della interpretazione ebraica per analogie, anagrammi e midrashim. Questo il centro della lectio magistralis di Remo Cacitti dell’Università di Milano e dell’approfondimento offerto da Stefano Romanello, docente di esegesi a Udine, che ha sottolineato come il simbolo, in cui è temprata la teologia biblica, tiene unite due realtà diverse che mantengono nella tensione la loro autonomia. Ne sono esempio i simboli teofanici del fuoco e della nube ma anche l’acqua, lo stesso corpo di Cristo che non ha radici bibliche, i colori e i numeri.

Pelio Fronzaroli, professore emerito di Semitistica a Firenze, ha ricordato che l’Antico Testamento contiene la memoria simbolica dei popoli circostanti ed ha illustrato questo attraverso immagini di oggetti provenienti principalmente da Ebla, oggi a sud ovest di Aleppo in Siria.

Non poteva mancare in questo seminario un riferimento all’Apocalisse, proposto da Piero Stefani, docente a Ferrara e presidente di Biblia, utilizzando le xilografie di Albrecht Durer dei cavalieri per illustrare come il simbolo non si risolve mai perché altrimenti perderebbe la sua funzione, ma ogni interpretazione ne richiama un’altra.

La storica dell’arte Francesca Flores d’Arcais di Padova ha tenuto una lezione sui simboli dell’arte tardo antica e medievale, e infine Saverio Campanini, docente di cultura ebraica a Bologna, e il regista Vittorio Pavoncello di Roma hanno portato contributi di  riflessione sulla via cabbalistica al simbolo e sui simboli biblici nell’arte ebraica contemporanea.