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Lavoro: mettere la persona al centro

L’articolo 1 della Costituzione è noto: l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. I padri costituenti come intendevano il lavoro? La risposta si trova nella Costituzione stessa all’articolo 41, dove ci viene detto che l’attività economica «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana».

Proprio al tema della sicurezza e quindi della dignità dei lavoratori è stata dedicata la festa del 1° Maggio. Le cronache quotidianamente ci informano di infortuni sul lavoro, molti di questi mortali. Bene hanno fatto i maggiori sindacati a scegliere questo tema per la sua gravità: infatti negli ultimi dieci anni sono tredicimila i lavoratori e le lavoratrici che hanno perso la vita lavorando. Un numero inaccettabile fosse anche solo uno! Un perno che sostiene un contenitore di acciaio fuso e una fune che sorregge una lastra di acciaio si rompono, ed ecco l’incidente. Sembra strano parlare ancora di funi e perni in un mondo del lavoro sempre più digitalizzato e invaso da computer e robot, eppure il lavoro è anche e ancora questo. La robotica industriale sostituisce l’uomo nei lavori pesanti e rischiosi, ma al centro del lavoro rimane la persona che va tutelata. Ci sembra strano parlare di perni e funi perché un certo tipo di lavoro, quello operaio, è assente nella rappresentazione della realtà che i media ci propongono; non c’è spazio per questa categoria di lavoratori, ma sono loro che pagano il prezzo più alto in termini di infortuni e vite perse sul lavoro.

È necessario ritornare a riflettere sul lavoro e sulla centralità della persona che lo svolge a partire dai luoghi di lavoro, dalle fabbriche con i loro operai. Il tema della sicurezza sembra scivolare in secondo piano nel dibattito politico e culturale attuale, tuttavia appare sempre più urgente, la Costituzione è lì a ricordarcelo. Lavori e lavoretti sempre più precari, appalti e subappalti, gare per l’acquisizione di commesse a costi sempre più al ribasso, fondi pubblici inadeguati alla prevenzione rendono il nostro mercato del lavoro fragile e insicuro, a scapito dei lavoratori e della qualità del loro lavoro, dunque un danno per tutti. La cultura della prevenzione e il miglioramento delle condizioni di lavoro sono frutto di un percorso comune: i lavoratori hanno diritto ad essere tutelati, ma hanno anche il dovere di utilizzare tutti i dispositivi di protezione, le aziende devono predisporre ambienti di lavoro a rischio minimo e le istituzioni creare normative adatte e prevedere verifiche efficaci.

Concetti quali sicurezza, libertà e dignità, espressi dalla nostra Costituzione, sembrano essere tenuti in poca considerazione nelle attività economiche, quasi fossero dei freni, degli impedimenti all’agire. Costruire abitazioni nei pressi dei corsi d’acqua e perseverare nell’abusivismo edilizio è forse sicuro? Produrre inquinando con gravi danni alle persone e al territorio è socialmente utile? Sono dignitosi quei contratti che penalizzano le donne in previsione di una loro maternità? A partire dalla sicurezza sul lavoro e poi allargando lo sguardo, appare chiara la necessità di un cambiamento culturale e morale dove legalità e responsabilità prendano il posto all’egoismo.

È questa la via che va percorsa da tutti e da ciascuno: solo così gli incidenti sul lavoro diminuiranno, il nostro territorio sarà più sicuro e ci saranno contratti di lavoro più equi. Nel gennaio del 1993, in occasione della Settimana della libertà, la Federazione delle chiese evangeliche in Italia scriveva un manifesto dal titolo “L’Italia a una svolta” in cui si denunciava la corruzione, il malcostume e la violenza e contemporaneamente si esprimeva la necessità di tornare a Dio per una nuova speranza di verità, libertà e giustizia. Queste parole di ieri, sono valide anche oggi.

Probabilmente non siamo personalmente responsabili degli incidenti sul lavoro, ma – come diceva M. L. King – lo diventeremo se non facciamo nulla per cambiare.