nachtigalplatz

Berlino pronta a cambiare i nomi di alcune vie legate al passato coloniale

L’ Afrikanisches Viertel di Berlino è un classico quartiere operaio, uguale a tantissimi altri in ogni angolo d’Europa: antichi caseggiati in pietra grigia fiancheggiano strade alberate, pochi i locali, concentrati nelle vie principali. Eppure questo luogo, divenuto poco più che un dormitorio per chi lavora altrove, è al centro in questi mesi di uno dei più intensi dibattiti sulla storia e la memoria tedeschi, in una città in cui le discussioni in tal senso non sono certamente mai mancate.

Il cosiddetto quartiere africano non si riferisce alla popolazione residente, ma ai nomi delle vie, che riflettono il coinvolgimento coloniale della Germania a cavallo fra XIX e XX secolo. Per anni attivisti di varie organizzazioni hanno cercato di far cambiare questi nomi e sembra finalmente che la loro battaglia avrà un lieto fine.

Prima della prima guerra mondiale, la zona si affacciava sul sito di uno zoo progettato dall’importatore di animali Carl Hagenbeck, che commerciava leoni e tigri per il circo di P.T. Barnum e progettò di allestire lo zoo come vetrina per gli animali provenienti dai possedimenti africani della Germania. Seguendo il modello del parco esistente ad Amburgo, il sito avrebbe probabilmente anche ospitato uno zoo umano in cui esibire popolazioni non europee come se fossero una specie di fauna selvatica. Quello zoo non si è mai aperto, ma la sua concezione si rifletteva nei nomi delle strade vicine. Ancora oggi, ci si ritrova a passeggiare lungo Togostrasse, attraversando la Kamerunerstrasse per imbattersi nel piccolo parco sulla Kongostrasse.

Molti di questi nomi si riferiscono alle ex colonie tedesche in Africa, ma non sono quelle al centro del dibattito attuale. Invece, gli attivisti – e la maggioranza dei partiti politici del municipio berlinese – stanno concentrando i loro sforzi su strade dedicate a personaggi storici coinvolti nel colonialismo. Non è difficile capire perché.

L’occupazione coloniale tedesca è stata caratterizzata da incredibili livelli di crudeltà, sfruttamento e violenza. Sotto il dominio tedesco in quella che ora è la Namibia, ad esempio, le forze del paese hanno perseguito una campagna di presa di possesso della terra a prezzi stracciati, hanno ridotto le genti locali alla schiavitù,  hanno usato in maniera forzosa la loro manodopera e si sono abbandonati a violenze nei confronti della popolazione civile, donne e bambini compresi.

Affrontando la resistenza organizzata dagli indigeni, i tedeschi hanno represso l’opposizione perseguendo il genocidio contro i popoli Herero e Nama della regione. Tra il 1904 e il 1907, i tedeschi confinarono intenzionalmente i loro avversari in un deserto senz’acqua, lanciando attacchi contro di loro durante i quali, secondo gli ordini ufficiali, nessuno fu risparmiato.

Molte migliaia di persone morirono di malattie, fame e violenza nei campi di concentramento, tristi esercizi che verranno replicati nella Seconda guerra mondiale dopo il successo dimostrato in terra africana, e dove i tassi di mortalità raggiunsero il 74%. Questo ha causato un bilancio complessivo di morti tra 34.000 e 110.000 unità. Non mancarono gli esperimenti medici sulla popolazione locale.

Tre persone coinvolte in questo processo sono ancora commemorate nel quartiere africano di Berlino. Adolf Lüderitz e Gustav Nachtigal, che per primi avevano acquistato la terra nella colonia dell’Africa sudoccidentale con un contratto fraudolento, hanno ancora una strada e una piazza ciascuno. Dietro l’angolo c’è una strada che commemora Carl Peters, un brutale colono dell’Africa orientale che ha commesso atti di violenza psicopatica ed era conosciuto dai locali come “Mkono Wa Damu”, ovvero “mani insanguinate”.

E’ stato anche presentato un breve elenco di possibili denominazioni alternative, che sarà deciso da una giuria scelta tra le autorità, le università e gli esperti degli ex possedimenti africani della Germania. I candidati proposti sono Rudolf Manga Bell, un re camerunense e leader della resistenza contro l’occupazione tedesca; Cornelius Frederiks, che guidò una guerriglia contro i tedeschi nell’attuale Namibia;  Maji-Maji, il nome di una lunga guerra contro il dominio tedesco che ebbe luogo nel 1900 nell’attuale Tanzania. Altre possibilità includono la cantante sudafricana e l’attivista anti-apartheid Miriam Makeba; Il leader anti-coloniale namibiano Jacob Morenga; Anna Mungunda, un’ attivista indipendentista namibiana uccisa dalle forze sudafricane durante una protesta; e la scrittrice americana e attivista per i diritti civili Audre Lorde.

Come ovvio, i cambiamenti hanno i loro avversari. Il partito Afd di estrema destra è contro ogni modifica dei nomi. Sorprendentemente, anche i rappresentanti dei cristiano democratici di centro-destra condividono la stessa posizione, anche se nessuna delle due parti ha rappresentanti sufficienti nella zona per rovesciare qualsiasi decisione.

Il dibattito sulla rimozione di nomi di luoghi pe personaggi che ricordano un passato di violenze non è certo tipico solo della Germania. Non mancano in materia posizioni assai divergenti, fra chi vede nel cambiamento un tentativo di mascherare la storia e rimuoverla, e in qualche modo così dimenticarla, mentre mantenere lo status quo non significa necessariamente celebrare le azioni di tali individui.

Al contrario chi ne chiede la rimozione vede in questo gesto anche una volontà di fare i conti col passato di un paese e rimuovere gli esempi negativi che ne hanno infangato le vicende.

Negli Stati Uniti, si tratta di monumenti e nomi di strade associati alla Confederazione o più recentemente a Cristoforo Colombo stesso. Nel Regno Unito, una campagna per rimuovere una statua ad Oxford del colono e commerciante di diamanti Cecil Rhodes ha scatenato un dibattito analogo due inverni fa, con il monumento che comunque ancora oggi rimane al suo posto. Sul continente europeo, la rimozione da parte della Polonia dei nomi dei luoghi associati ai comunisti è continuata in questo decennio, mentre i tentativi della Spagna di rimuovere i nomi associati a Francisco Franco sono in corso – e in nessun modo unanimemente accettati. In Italia a intervalli regolari torna la questione legata soprattutto a Re Vittorio Emanuele III.

Berlino, e la Germania, hanno già in passato rimosso molti nomi legati ai terribili anni del nazismo e poi dell’occupazione sovietica a est. Mantenere i nomi dei boia delle colonie, artefici di catastrofi umanitarie,  vorrebbe dire tracciare una linea di demarcazione difficile da giustificare.