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Turchia. Un pastore evangelico “terrorista”?

Il cinquantenne cittadino americano Andrew Brunson vive in Turchia da 23 anni, ed è un pastore della Chiesa della Resurrezione Izmir Diriliş, una piccola congregazione evangelica presbiteriana nella città di Izmir; dal 7 ottobre 2016 è recluso nel carcere della città con l’accusa di «sostegno al terrorismo». I fatti: nell’aprile 2016, Brunson aveva chiesto alle autorità competenti turche di poter ottenere il rinnovo del visto di residenza e il 7 ottobre 2016, chiamato dal dipartimento di polizia locale – convocazione ritenuta da Brunson di routine per discutere il rinnovo del visto – fu trattenuto dalla polizia che comunicò al pastore l a sua espulsione, entro quindici giorni. Da quel giorno, però, Brunson non è mai uscito dal carcere, senza essere espulso.

«Il 7 maggio – ricorda l’inviato in Turchia di Radio Radicale Mariano Giustino, in un articolo pubblicato sul sito Articolo 21

– si è svolta la seconda udienza del processo nell’Aula del Tribunale di Aliağa, nella provincia egea di Izmir. Questo Tribunale sorge nel carcere di massima sicurezza di Şakran ed è destinato a processare esclusivamente esponenti gülenisti. I giudici della 2ª Corte penale turca hanno respinto la richiesta di scarcerazione avanzata dagli avvocati del pastore evangelico statunitense. Una nuova udienza è stata fissata il prossimo 18 luglio».

Quella del pastore presbiteriano è una situazione che non vede sbocchi e che sin dall’inizio è stata poco chiara, lo ricorda il sito della Commissione degli Stati Uniti sulla libertà religiosa internazionale (Uscirf):

«Ad un avvocato che nel 2016 chiese di visitare Andrew venne negata la possibilità. Quando l’avvocato tornò con l’autorizzazione i funzionari dissero che Brunson aveva firmato una dichiarazione in cui affermava di non volere un avvocato; un documento di rinuncia al diritto di poter avere una rappresentanza legale. Le autorità turche – prosegue il sito/Osservatorio per la libertà religiosa – rifiutarono anche a un rappresentante del Consolato degli Stati Uniti d’incontrare il pastore evangelico; una grave violazione della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari». Brunson, senza poter incontrare nessuno, fu tenuto in isolamento nel Centro di Harmandali sino al 13 ottobre.

«Un documento del tribunale rilasciato in un’udienza del 9 dicembre 2016 – prosegue l’Osservatorio sulla libertà religiosa – sosteneva che il pastore Brunson appartenesse “a un’organizzazione terroristica armata” e il giudice l’accusava di essere legato al movimento di Fetullah Gülen», il predicatore che per il il governo turco fu il  fautore del colpo di stato fallito nel luglio 2016.

«L’accusa – prosegue il giornalista Mariano Giustino, direttore della rivista Diritto e libertà – afferma che Brunson avrebbe tentato di convertire i curdi al cristianesimo […] e di tramare nel tentativo di dividere la Turchia. Oggi – prosegue Giustino – il pastore evangelico rischia una condanna a 35 anni di carcere. I pubblici ministeri chiedono 15 anni di reclusione per il reato di “crimini compiuti per conto di organizzazioni terroristiche, senza esserne membro” e altri 20 anni per il crimine di “spionaggio politico o militare”».

Le condizioni del pastore sono davvero precarie; è dimagrito molto e dopo l’iniziale periodo di isolamento si è trovato in una cella con altre 21 persone in uno spazio che poteva contenerne solo otto. Dall’agosto del 2017 è trattenuto nella prigione di Kiriklar, in una cella con altri due uomini anch’essi accusati di essere membri del movimento guidato da Gülen.

Il pastore da allora trascorre 24 ore al giorno in prigionia e gli è stata concessa un’ora settimanale per ricevere visite familiari o di membri dell’Ambasciata statunitense.

L’accusa a Brunson si basa su «prove» non divulgabili e sulle «dichiarazioni» di un testimone segreto. Dall’ottobre 2016, Brunson è trattenuto senza reali motivazioni, giusti processi e senza supporti psicologici adeguati.

«L’organizzazione cristiana-evangelica Open Doors sostiene che Erdoğan avrebbe promesso agli Stati Uniti di rilasciare Brunson in cambio della consegna del predicatore islamico Fethullah Gülen, che vive in Pennsylvania dal 1999. Il pastore Brunson sarebbe stato scelto come ostaggio politico e come strumento di negoziazione – ricorda infine Giustino –, perché è un leader cristiano».

Quello di Brunson è un caso urgente per Washington e per il Congresso degli Stati Uniti, «tra i membri del Congresso a Capitol Hill c’è molta preoccupazione per le condizioni di salute del pastore americano. Il Dipartimento di Stato è intervenuto sulla vicenda dicendo di non aver visto sino ad ora presentare “alcuna prova credibile”».