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Loi immigration, un nuovo approccio per l’immigrazione in Francia

Il 22 aprile 2018 l’Assemblée national, uno dei due rami del Parlamento francese, ha approvato in prima lettura il progetto di legge “per un’immigrazione controllata, un diritto d’asilo effettivo e un’integrazione riuscita”, più conosciuta come loi immigration. Votata dal 58% dei deputati, è una delle leggi che hanno maggiormente diviso il Parlamento, al punto che anche alcuni parlamentari di En Marche!, il partito del presidente Macron e movimento che ha la maggioranza assoluta, ha registrato voci discordanti al proprio interno. Una volta approvato, il testo è stato trasmesso al Senato, dove tra il 18 e il 19 giugno verrà messo ai voti.

Secondo Francesca De Vittor, ricercatrice in diritto internazionale dell’Università Cattolica di Milano che vive a Parigi, sebbene si tratti ancora di un progetto approvato solo in prima lettura e quindi modificabile, è improbabile che l’impianto complessivo della legge possa essere messo in discussione con il prossimo passaggio parlamentare. In un’intervista andata in onda su Radio Beckwith Evangelica, alla ricercatrice è stato chiesto un quadro sui principali punti critici di una norma su cui negli ultimi mesi si sono concentrate attenzioni, speranze e preoccupazioni. «Va detto – spiega De Vittor – che se ci sono stati dei problemi di maggioranza all’Assemblée nationale, dove addirittura una parte dei deputati macronisti ha votato contro su alcuni punti critici, in Senato l’approvazione sarà più facile. Anzi, con la larga rappresentanza di Les Républicains in Senato addirittura ci potrebbero essere dei passi indietro su alcune mediazioni in favore dei diritti dei migranti che erano state introdotte in prima lettura».

Globalmente, su quale impianto poggia questa legge?
«La prima cosa da rilevare è che per la prima volta in Francia si fa una legge che tratta insieme asilo e immigrazione, mette quindi nello stesso ambito migranti economici e rifugiati o richiedenti asilo, che prima erano due categorie ben distinte».

Che cosa significa?
«Dal punto di vista del diritto internazionale, mentre la migrazione economica può essere controllata, nel senso che i tassi di immigrazione sono determinati dallo Stato, il fatto che uno stato abbia ratificato la convenzione di Ginevra sul diritto dei rifugiati fa invece sì che non si possano limitare i riconoscimenti dello status di rifugiato: se un profugo arriva e vede riconosciuta la sua condizione, allora dev’essere accolto. Questo fa sì che le due categorie sono sempre state trattate in maniera distinta. Per contro, questa legge non lo fa, unisce le due cose insieme. È una caratteristica comune a varie legislazioni europee, che vedono il flusso di rifugiati come un flusso di migranti che va in qualche modo limitato. Tra l’altro è una caratteristica anche della nostra legge Minniti-Orlando del 2017, che si occupa contemporaneamente di procedure relative ai migranti economici e di procedure d’asilo».

Quindi in che modo viene declinato la formula “per un’immigrazione controllata, un diritto d’asilo e un’integrazione riuscita”?
«Diciamo che un’immigrazione controllata è in realtà un eufemismo per parlare di un’immigrazione limitata. Il punto però è che questo nella legge vale sia per i migranti economici, per cui si restringono alcuni diritti, sia per i rifugiati e richiedenti asilo».

In particolare a quali diritti si fa riferimento?
«Prima di tutto si parla di semplificazione della procedura di riconoscimento dell’asilo, cosa che è stata presentata come una garanzia in più, nel senso che si intende far durare meno a lungo la procedura, riconoscendo o negando lo status di rifugiato entro 6 mesi. Questa dovrebbe essere una garanzia per il richiedente, che si vede riconosciuto lo status e quindi regolarizzata la situazione più velocemente. Il problema è che il prezzo da pagare, esattamente com’è stato in Italia con la legge Minniti-Orlando, non è che la stessa procedura viene svolta più velocemente perché si sono aumentati gli effettivi di chi deve fare la valutazione, ma è più veloce perché si sono ridotti quei tempi necessari alle garanzie: per esempio, nel caso di rifiuto in prima istanza da parte dell’Ofpra [Office français de protection des réfugiés et apatrides] il tempo per fare ricorso alla Cour nationale du droit d’asile è ridotto a 15 giorni, contro i 30 di oggi. Ecco, due settimane per una persona dal momento in cui riceve un rifiuto al momento in cui ha preparato il proprio ricorso alla corte, sono veramente pochi».

Ci sono altri aspetti comuni con le normative italiane?
«Sì, anche qui come in Italia vengono privilegiate forme di trasferimento video delle prove. Nel caso della legge Minniti-Orlando abbiamo l’udienza del richiedente fatta alla commissione territoriale, videoregistrata e utilizzata così com’è dal giudice in caso di ricorso. Qui non è esattamente così, ma quello che abbiamo è che molte delle udienze previste per il riconoscimento in primo grado dell’asilo, così come per i migranti economici la conferma della detenzione prima dell’espulsione, vengono fatte in videoconferenza. Il fatto è che è ben diverso parlare del proprio passato, spesso tragico, di fronte a uno schermo anziché davanti a una persona».

Nei primi 19 articoli del testo di legge approvato in prima lettura ricorrono le parole che fanno riferimento alla semplificazione delle procedure. Che cosa significa?
«Significa che sono facilitate tutte le procedure “accelerate”, ovvero quelle che vengono utilizzate per qualcuno che si presume non avrà diritto alla protezione. Tuttavia ci sono molti casi in cui anche una persona di cui a priori si pensa non abbia diritto invece si scopre poi averlo. Per uno di questi casi, tra l’altro, la Francia alcuni anni fa è già stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) sul caso di una persona che rischiava di subire tortura se rimandata nel Paese d’origine e alla quale era stato, con una procedura accelerata, rifiutato l’ingresso e addirittura fatto l’ordine di espulsione immediata, prima che un giudice si pronunciasse. Il fatto di aumentare i casi di procedure accelerate fa sì che ci siano più persone che nel momento in cui ricevono il primo rifiuto e presentano il loro ricorso al giudice, alla Cour nationale du droit d’asile, non ottengano l’effetto sospensivo automatico dell’ordine di lasciare il territorio, che è invece demandato al giudice amministrativo. Il fatto è che lasciare il territorio significa ritornare indietro: se “indietro” significa verso l’Italia non ci sono grossi problemi, ma se significa tornare nel Paese d’origine le criticità sono molte».

Che cosa potrebbe cambiare con questa legge per chi cerca di attraversare il confine tra Italia e Francia o per chi aiuta queste persone?
«Cambiano principalmente due cose: con l’approvazione all’Assemblée nationale c’è stato un alleggerimento del reato di solidarietà, per cui il prestare soccorso a persone in grave difficoltà non costituirà più reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ma solo per persone in gravissima difficoltà, almeno per com’è scritto il testo della legge. Invece, dal punto di vista del migrante che attraversa la frontiera la legge da un lato depenalizza l’immigrazione clandestina, cosa peraltro che era già scontata visto che è l’effetto anche di una serie di pronunce della Corte di giustizia europea, ma dall’altro introduce una limitazione, cioè il fatto che il passaggio di frontiera che non è penalizzato deve avvenire attraverso i punti autorizzati e controllati, quelli ufficiali. La persona che valicherà il colle attraverso i sentieri che non sono controllati commette invece un reato che può essere sanzionato con un’ammenda e con un anno di prigione».

Ci sono variazioni rilevanti a proposito dei minori?
«Ecco, questo è un aspetto critico della legge. Nonostante si trattasse di un punto in discussione, la norma attualmente vigente sul trattenimento dei minori in attesa dell’espulsione con i familiari non è stata modificata. Si conferma quindi, per ora, il trattenimento nei centri di detenzione anche per i minori, un aspetto che ci dice molto sull’impianto generale della legge».

Lei crede che su quest’ultimo punto ci siano dei profili di incompatibilità di questa legge con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo?
«Sicuramente, soprattutto per come la legge è applicata. Teniamo presente che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha già condannato la Francia per il trattenimento dei minori nei centri per gli adulti, quindi la giurisprudenza della Cedu esiste già. Se la norma non cambia sono probabili altre condanne».