call_berlin_2018_

Digitalizzazione e futuro del lavoro e delle relazioni sociali

La digitalizzazione è diventata uno dei temi più discussi in Europa perché a 60 anni dai Trattati di Roma (1957) tra cui l’istituzione della CEE (Comunità economica europea), l’Europa punta  ad essere un Mercato unico digitale e perciò ad avanzare insieme nel calcolo ad alte prestazioni, nella mobilità connessa e automatizzata, e nella digitalizzazione dell’industria e dei servizi pubblici (in particolare della sanità), così come nella intelligenza artificiale e nelle tecnologie di certificazione delle transazioni.

La digitalizzazione sta cambiando il modo di produrre sia beni che servizi e quindi anche il mondo del lavoro, dal punto di vista quantitativo e qualitativo,  e l’organizzazione sociale.

Per questo la rete CALL (azione delle chiese per il lavoro e la vita, costituita nel 2010) della Conferenza delle chiese europee ha dedicato al tema  una Conferenza dal titolo “Digitalizzazione e futuro del lavoro e delle relazioni sociali” che si è tenuta a Berlino presso l’Accademia evangelica dal 23 al 25 aprile.

Come primo atto è stata preparata una visita agli uffici delle ferrovie tedesche che stanno affrontando in maniera responsabile una ristrutturazione digitale con la preoccupazione di ricollocare i/le lavoratori diventati eccedenti, seppure spesso in posizioni lavorative meno qualificate delle precedenti.

Il tema è poi stato analizzato in un panel da più prospettive: quella dell’Organizzazione  Internazionale del lavoro  (ILO, che nel 2019 compirà 100 anni, nella persona di Irmgard Nuebler),  di un imprenditore finlandese (Mikko Perala), di un sindacalista tedesco (Martin Beckmann), della Banca europea degli investimenti (Eugenio Leanza) e di uno scienziato inglese (Tony Hey).

Il contributo teologico è stato portato da Torsten Meiris, professore di teologia sistematica alla Università Humboldt di Berlino e da Radu Preda, professore associato di teologia sociale in Romania.

I/le partecipanti hanno anche lavorato in gruppi di approfondimento sull’impatto della digitalizzazione nell’industria e nei servizi, sulle nuove forme di lavoro nei servizi che si appoggiano ad una piattaforma digitale (la gig  economy e il crowd work) e rispetto alle relazioni e alla coesione sociale. In ogni gruppo due esperti introducevano il tema.

La lettera alle chiese, discussa e approvata, raccoglie i principali contenuti della Conferenza.

In particolare è stato sottolineato il ruolo della formazione associata allo sviluppo di un pensiero critico che aiuti a mantenere una distanza per osservare fattori positivi e negativi. La stessa tecnologia, infatti,  in un uso privato è messa al servizio di comunicazioni interattive mentre  in condizioni di lavoro rafforza, insieme al precariato,  la concentrazione del potere e  forme organizzative verticiste. Nello specifico la tecnologia va addomesticata, governata al servizio della vita e non del dominio e per preservare un equilibrio tra contemplazione e azione che non è attualmente previsto. Se l’industria si dà un obiettivo 4.0 occorre domandarsi come si configura un lavoro 4.0, una classe media 4.0,  uno Stato 4.0 in termini di sostenibilità sociale, di protezione della privacy, di miglioramento delle condizioni di vita di tutti.

Nell’era delle reti e dei legami deboli è stata paragonata la comunione interna alla trinità ad una rete in cui l’umanità è invitata ad entrare come co-creatrice con l’impegno di servire il prossimo in un percorso di santificazione.

Sullo sfondo di questa elaborazione il documento conclusivo prodotto nel 2014 dal gruppo di lavoro sul precariato di CALL (2011-2014)  che lanciava una campagna europea del titolo “Non c’è futuro senza un buon lavoro”.

Ma anche le elaborazioni che da anni su questo tema vengono fatte nelle chiese e strutture diaconali per esempio in Germania, Finlandia, Regno Unito, Svezia per individuare il contributo della digitalizzazione al continuo peggioramento della qualità del lavoro sotto ogni aspetto e alla polarizzazione della ricchezza e per  riaffermare  -come il prof Maireis ha sottolineato-  che nel processo di digitalizzazione  i criteri del buon lavoro rimangono  attinenti   allo sviluppo della persona umana e alle condizioni per l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del proprio Paese.

In altri termini, siamo chiamati a fare la nostra parte per rimuovere gli ostacoli  alla realizzazione della pienezza di vita promessa a tutte le creature e per realizzare società integrate e solidali.