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Le confessioni religiose fra nuovi linguaggi e nuove generazioni

Sul sito www.chiesavaldese.org ha preso il via pochi giorni fa una serie di video-interviste dedicate al confronto con le altre confessioni cristiane presenti nel nostro Paese (https://www.chiesavaldese.org/aria_video_player.php?video_id=50): per capire di che cosa si tratta abbiamo posto alcune domande al pastore Pawel Gajewski, che fa parte del gruppo di redazione del sito stesso.

«Si tratta di un progetto – ci dice – che si colloca nel solco del convegno ecumenico tenutosi ad Assisi dal 20 al 22 novembre 2017. Il convegno si è chiuso con una dichiarazione congiunta in cui il punto centrale è l’istituzione della Consulta permanente delle chiese cristiane in Italia. Così il gruppo di lavoro che cura i contenuti del sito www.chiesavaldese.org ha pensato di “camminare insieme” con alcune persone appartenenti alle principali confessioni cristiane – ma non quelle riunite nella Federazione delle chiese evangeliche in Italia – per mettere in evidenza la bellezza e la forza del dialogo».

– Si può dire che questo tipo di dialogo sia un frutto (non l’unico, certamente, ma uno dei molti) dell’anno 2017, che ha visto ricordare la Riforma protestante anche in chiave ecumenica? In questo senso è giusto dire che il 2017 non è ancora finito…

«Senz’altro sì. Il 2017 è finito ma siamo nell’“anno 501” della Riforma. Credo che sia importante costruire sul fondamento che sicuramente è stato posto durante il Cinquecentenario della Riforma. Senza entrare nel campo di una speculazione futurologica, si può affermare che i tempi di oggi sono tarati su una velocità ben diversa rispetto a quella dei primi secoli successivi al 1517. Nel corso degli ultimi cinquant’anni abbiamo raggiunto nel campo ecumenico risultati che tra il 1918 e 1968 erano inimmaginabili. L’obiettivo dunque, reale e simbolico al tempo stesso, potrebbe essere l’anno 2067, vale a dire il 550° anniversario della Riforma. Credo che su questo obiettivo debbano orientarsi le cristiane e i cristiani nati nel 2000. La nostra rubrica infatti è pensata per catturare anche la loro attenzione».

– E in effetti, proprio parlando di nuove generazioni a cui riferirsi, la prima intervista, di Sabina Baral con Enzo Bianchi, fondatore e già priore della Comunità monastica di Bose in Piemonte, ha posto in rilievo la necessità che le chiese cristiane adeguino i propri linguaggi e i propri strumenti per «leggere» una società in evoluzione sempre più rapida. Potrà questo essere un tema che ritornerà nei prossimi appuntamenti?

«Più che di un tema si tratta di un filo rosso che unirà i prossimi appuntamenti. Enzo Bianchi è l’esempio di un credente che riesce a testimoniare la propria fede senza fare ricorso al gergo ecclesiastico. Non dimentichiamo che per chi non frequenta – o non ha mai frequentato – alcuna chiesa, certi termini come “grazia”, “giustificazione”, “sacramenti” dicono poco o niente. La questione del linguaggio nel suo rapporto con la religione, da anni al centro dell’attenzione degli intellettuali del calibro di Luisa Muraro o Gianni Vattimo, dovrebbe diventare l’oggetto di una comune riflessione di tutte le chiese cristiane».