cepple2018

Per orientarsi nel mondo della fede sul web… ci vuole un Gps!

Quanto e come sono presenti sul web le chiese protestanti europee? Questo è stato il tema centrale del quarto incontro dei media Cepple, ossia delle chiese protestanti dei paesi latini europei (Francia, Svizzera, Italia, Belgio, Spagna e Portogallo). La decina di partecipanti che li hanno rappresentati si sono ritrovati dall’11 al 13 aprile scorsi al Monasterio de prestado, gradevole foresteria protestante all’Escorial, a una cinquantina di km da Madrid, dove sorge la nota residenza-monastero del cattolicissimo Filippo II, simbolo della Controriforma spagnola.

L’argomento principale del colloque, proposto e condotto dal teologo e giornalista svizzero Michel Kocher, direttore di Médias-Pro, consisteva nella discussione sulle questioni legate alla presenza delle chiese sul web: qual è il loro obiettivo prioritario? Quale profilo deve tenere un pastore sui social (a questo proposito è stata ravvisata la necessità di una deontologia che regoli, ad esempio, la voce dei pastori attraverso questi potenti strumenti)? Come tradurre il Vangelo nel linguaggio del web?

La riflessione era orientata, a partire dal complesso modello proposto da Kocher e rielaborato insieme ai partecipanti, su due assi principali: come impegnarsi nel digitale (rivisitando le nostre tradizioni o immergendosi completamente nell’ambiente digitale?) e qual è la nostra priorità come chiese sul web (approfondire la fede personale o rinforzare la comunità?). L’incrocio fra questi due assi dava origine a quattro modi di concepire il web in rapporto alla religione. Dai meno «virtuali», in cui prevale ancora l’aspetto umano e il digitale è un supporto alla visibilità delle chiese alla «chiesa virtuale» che esiste a prescindere dalla realtà concreta; qui il web reinventa la chiesa, come nei culti preparati ad hoc o nella sit-com svizzera Ma femme est pasteur . Proprio un esempio di quest’ultimo livello è stato presentato nell’ambito del colloque: una app (ma anche un sito Internet) per capire come «ci si posiziona», come singoli o come chiesa, sui vari temi della fede. Secondo le coordinate e le domande citate sopra, lo strumento elabora un risultato sulla base delle risposte date dagli utenti scegliendo tra due opzioni, e indica la loro «posizione» riguardo al loro modo di concepire la chiesa, ovviamente dando per scontato che la chiesa abbia un livello minimo di presenza nel mondo digitale.

Per il suo ruolo di «localizzatore» questo strumento è stato chiamato, dai suoi ideatori svizzeri, ContactGPS: ancora in fase di implementazione, sarà presentato alla prossima assemblea generale della Cepple che si terrà in autunno a Lisbona, e l’obiettivo (al quale ha contribuito anche l’incontro madrileno) è di estenderlo, adattandolo ai diversi contesti nazionali.

Un ostacolo all’utilizzo di questo strumento può essere la diversa dimestichezza con il digitale: assai avanzata in Svizzera e Francia, limitata per esempio nella realtà italiana, dove stiamo ancora discutendo se le chiese locali debbano dotarsi o meno di una pagina Facebook, e dove l’uso delle app in ambito religioso e di fede è cosa rara. Paradossalmente uno strumento che vorrebbe essere il più possibile inclusivo rischia di restringere il campo rispetto all’età, le competenze, l’accesso agli strumenti informatici. E risultare di difficile approccio per i protestanti che sono qui chiamati ad abbandonare la propria interiorità per mettere le mani, testare, verificare prima ancora che sentire con il cuore e la testa.

Questo strumento non è creato per dare risposte assolute, l’opzione ridotta alla scelta tra due ipotesi porta inevitabilmente a delle semplificazioni; inoltre, è stato osservato, si rischia di appiattire il discorso su un unico livello, trascurando l’esistenza di una autorità, l’importanza di un arbitraggio tra diverse posizioni. In effetti, ha riconosciuto Michel Kocher, «questo Gps non ci dice dove andare, ma solo dove siamo in questo momento. Ci troviamo di fronte a una situazione in cui le frontiere confessionali vengono meno e la realtà protestante ha dinnanzi la sfida di una nuova cultura». Una sfida che richiede nuovi strumenti per ridire la nostra fede in un contesto complesso. Alba Sabaté Gauxachs, ricercatrice della Facoltà di comunicazione e relazioni internazionali Blanquerna (Università Ramon LIull), presentando una ricerca sul tema dei giovani in rapporto alla tecnologia e alla religione, ha dimostrato come quest’ultima sia considerata priva di attrattiva perché intesa come qualcosa che non si può né vedere né utilizzare. Tra i cristiani in particolare trionfano gli «influencer», utenti con migliaia di seguaci in grado di trasmettere fiducia, competenze, aiuto e di fare della persuasione la loro arma migliore. E persuasione non è sempre sinonimo di manipolazione, come ci ha ricordato in un’altra relazione Maria Stavraki, psicologa sociale dell’Università di Castilla-La Mancha, ma tentativo di cambiare le nostre abitudini e i nostri comportamenti. E i giovani a questo sono sensibili perché il desiderio di essere accettati dal gruppo è alto.

Solo le comunità di migranti o quelle musulmane fanno uso del web per rimanere legate alla propria tradizione. La tecnologia, che può unire le persone, rischia qui di separarle creando comunità distinte che dialogano solo al loro interno.