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Islam e Protestantesimo in Italia: non c’è altra scelta del dialogo

Perché dialogare? Con chi, come e dove? Questi gli interrogativi che hanno scandito i lavori della Giornata di studio e incontro “Protestantesimo e islam: strade di dialogo”, promossa ieri, 16 aprile a Firenze dalla Commissione studi-dialogo-integrazione (COSDI) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI).

Presenti per l’occasione presso l’Istituto Gould del capoluogo toscano, esponenti delle principali correnti del panorama islamico italiano ed esperti evangelici della materia, metodisti, luterani, valdesi, battisti, avventisti. E non è mancata neanche una partecipazione cattolica, quella di Don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio nazionale ecumenismo e dialogo interreligioso (UNEDI) della CEI. Numerosi i punti emersi nel corso della giornata, primo fra tutti la necessità del dialogo intrareligioso, per tutti, prima ancora che interreligioso. Il dialogo, variamente declinato nell’arco della giornata, che ha visto un susseguirsi di diverse tavole rotonde, ha messo sul tappeto una moltitudine di spunti: dalla posizione della donna alle implicazioni teologiche del dialogo con altre tradizioni di fede; dal mancato riconoscimento giuridico dell’islam italiano al rapporto con le istituzioni; dalla lotta ai pregiudizi e all’islamofobia attraverso un incessante sforzo di conoscenza e formazione, alla cooperazione interreligiosa sul fronte umanitario a favore del “bene per la città”; senza dimenticare la cornice più ampia all’interno della quale questo dialogo si colloca: in una società, quella italiana, in cui vige un sostanziale analfabetismo religioso. Insomma, tutti d’accordo nel dire che servono luoghi fisici, strutture appropriate, iniziative, dove facilitare e promuovere il dialogo.

A sottolineare lo specifico del dialogo tra islam e protestantesimo italiano, due espressioni di fede minoritarie nel belpaese, è stato nel suo saluto iniziale il presidente della FCEI, pastore Luca Maria Negro, dicendo: «Come protestanti, figli di una Riforma il cui significato nel nostro paese è stato distorto e misconosciuto per secoli, dobbiamo reagire agli stereotipi correnti sull’islam e favorirne una conoscenza corretta. Come protestanti, che da relativamente poco hanno conquistato la libertà religiosa grazie alla stipula di intese con lo Stato, dobbiamo continuare a batterci per la libertà di tutte le comunità di fede». Significativo, a questo proposito, l’intervento di Valdo Spini, valdese, già ministro della Repubblica, che ha ribadito l’urgenza di una legge sulla libertà religiosa a garanzia dei diritti di tutte le espressioni di fede nel paese. Tuttavia, in attesa che il legislatore si dia da fare su questo fronte, indirizzandosi ai musulmani presenti al convengo, ha auspicato che possano trovare un denominatore comune per avanzare insieme, nonostante le varie correnti interne all’islam, una Intesa con lo Stato. Politicamente, secondo Spini, la strada più propizia da percorrere in questo particolare momento storico, è questa.

Paolo Naso, coordinatore della COSDI, per parte sua ha ricordato: «Non illudiamoci, abbiamo un handicap di partenza: l’islam in Italia è ancora discriminato. A Roma, negli ultimi mesi, sono state chiuse 5 moschee». Intanto, sul fronte musulmano, dopo la solenne firma del “Patto nazionale per un islam italiano” avvenuta al Viminale l’anno scorso tra il ministro Marco Minniti e gli esponenti delle maggiori correnti dell’islam, proseguono gli sforzi a lavorare in questa direzione.

Abdellah Redouane del Centro islamico culturale d’Italia della Grande Moschea di Roma – per il quale «non abbiamo altra scelta se non il dialogo» – ha annunciato la recentissima modifica del loro statuto, per cui nel Consiglio di amministrazione non possono più figurare ambasciatori in Italia di paesi islamici. Molte energie vengono investite sul fronte della formazione dei giovani musulmani, proprio con l’intento di sconfiggere la radicalizzazione alla fonte grazie alla conoscenza del Corano, ha assicurato Nibras Breigheche, membro del direttivo dell’Associazione islamica italiana degli imam e guide religiose: «Tutti gli studi sociologici hanno dimostrato che i giovani coinvolti in attentati di terrorismo non hanno avuto una formazione e non hanno avuto occasioni di dialogo».

Per parte della FCEI, riagganciando la proposta di integrare il dialogo interreligioso con la cooperazione interreligiosa avanzata da Aisha Lazzerini, rappresentante della Commissione affari giuridici della Comunità religiosa islamica italiana (COREIS), è arrivata una richiesta concreta: Perché non pensare ad un lavoro comune sul fronte dell’integrazione di chi arriva con il progetto dei corridoi umanitari? «In fondo – ha detto Paolo Naso – 4/5 dei profughi che arrivano dal Libano sono musulmani». Per Lazzerini «costruire qualcosa insieme è una forma alta e reale non solo di dialogo, ma addirittura di preghiera”. Pertanto, vedrebbe di buon occhio l’individuazione di temi specifici “che possono essere la lotta a favore dei diritti umani, la migrazione, l’ambiente. Impegni comuni che ci portino a lavorare insieme. Un gesto che ci porta ad una conoscenza superiore, nella ricerca di un bene superiore che sia comune». E aggiunge: «Un bene superiore che abbiamo il dovere di difendere e trasmettere nella società e alle nuove generazioni». Letizia Tomassone, pastora valdese e teologa, è sicura che è possibile «diventare insieme l’avanguardia della pace, senza rinnegare la nostra fede».

Per lei dialogare è anche una necessità spirituale. «Da un punto di vista protestante – spiega – intendo superare un Cristo centrista ed escludente. Anzi, sento la necessità di aprirmi a nomi di Cristo che indichino la presenza di Dio, anche al plurale». Pertanto, il suo invito è quello di «vivere il pluralismo come un’occasione di guarigione e di perdono». Ad evidenziare il pluralismo delle espressioni di fede in campo musulmano è stata l’iraniana Shahrzad Houshmand, docente di studi islamici alla Pontificia Università Gregoriana di Roma; di tradizione sciita, ha declinato le categorie teologiche per definire il dialogo – prima fra tutte quella del dialogo con se stessi, e tra l’io e Dio. E poi, il dialogo come carità, come silenzio e ascolto “per fare spazio all’altro”, come cooperazione, e non ultimo come reciprocità. Un’esperienza concreta di dialogo sul territorio è arrivata da Marco Bontempi, impegnato da diversi anni nel gruppo fiorentino del DECI-Dialogo ebraico cristiano islamico. Una testimonianza preziosa che ha evidenziato come il dialogo sia anche impegno, fatica, costanza, e proprio per questo quanto più necessario. Soddisfazione per la giornata fiorentina di incontro, conoscenza, e approfondimento reciproco è stata espressa a conclusione dei lavori dal pastore valdese Pawel Gajewski, moderatore della Sezione dialogo della COSDI: «Abbiamo avviato un percorso. La discussione certamente non finisce qui. Promuoveremo altri incontri, coinvolgendo non solo teologi, ma anche sociologi, politologi, massmediologi e soprattutto giovani». Alla giornata hanno partecipato, tra gli altri, Izzedin Elzir, presidente dell’Unione delle comunità islamiche d’Italia (UCOII) e imam della moschea di Firenze; Massimo Cozzolino della Confederazione islamica italiana; Daniele Garrone della Facoltà valdese di teologia di Roma; e Claudio Paravati, direttore di “Confronti”, rivista storica di “dialogo”, che non ha dubbi: “Le politiche messe in atto oggi saranno il frutto del pluralismo religioso riuscito di domani”.