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Fare missione nel mondo con una nuova prospettiva

Dopo sedici anni trascorsi come missionario in Italia (Genova), da sette Mark Ord è tornato nella natia Inghilterra e dal 2014 è direttore della Baptist Missionary Society (Bms) World Mission. In questi anni non ha perso i contatti e l’affetto verso il nostro Paese, come dimostra anche il suo italiano fluente. 

In occasione del convegno nazionale sull’identità battista tenutosi a Roma Centocelle il 6-8 aprile, gli abbiamo chiesto quali cambiamenti ha notato nel mondo battista italiano. Ord riscontra la permanenza di aspetti positivi come «l’entusiasmo, la gioia, il senso di appartenere a una minoranza, a qualcosa di diverso dal resto della società», uno spirito diverso da quello che si trova in Inghilterra, dove la storia battista è molto più lunga e radicata. Là, osserva Ord, «siamo molto consapevoli del declino delle nostre chiese, abbiamo le cifre sempre davanti a noi, sappiamo che in Galles metà delle chiese sparirà se non cambia qualcosa in modo drastico; molte chiese lamentano la mancanza della gioventù, ma l’aspetto positivo è che c’è molta innovazione, è forte l’impulso a tentare diverse strade per uscire dalla crisi. Abbiamo lasciato un po’ da parte le nostre usanze e radici, mentre noto che in Italia c’è sì la gioia di essere quello che siamo, ma forse questo non incoraggia l’innovazione». 

Eppure la crisi c’è anche in Italia, in termini di numeri, di identità, di rapporti. Qualcosa è cambiato, in negativo: «Quello che mi ha sorpreso qui al convegno è stato un contesto quasi esclusivamente italiano, ricordavo un ambiente molto più interculturale. Questo mi ha un po’ turbato e rattristato, quando si è parlato di pastori missionari, o di persone provenienti da altri paesi, lo si è fatto in termini di minoranza poco rappresentata. Avrei voluto vedere un ampliamento, non un restringimento dell’orizzonte».

Il riferimento è innanzitutto al difficile rapporto con la componente immigrata, in particolare brasiliana, uno dei problemi emersi nell’incontro. Anche la Gran Bretagna, osserva Ord, vive situazioni simili: «C’è una situazione consolidata di chiese nate, guidate e formate da persone provenienti da uno stesso paese e ci sono chiese multiculturali, tutta la mia esperienza adulta è stata vissuta in queste realtà, presenti soprattutto nelle città». 

Il problema riguarda soprattutto la visione dell’accoglienza: «Negli anni Sessanta c’era il rifiuto di accogliere; oggi, in cui queste chiese stanno crescendo molto (e molto più delle nostre), non c’è più un rifiuto, ma il problema è il tipo di ospitalità proposta (“questo è il nostro paese, le nostre regole…”). Quando la ricevi, non sembra ospitalità! Quindi c’è una chiusura, soprattutto da parte di quanti provengono da paesi in cui le chiese sono forti e numerose e la fede non è contestata come qui».  

Di fronte a questo tipo di “accoglienza”, si chiudono in se stesse perché hanno al loro interno le risorse per vivere, quindi più che parlare di difficoltà di convivenza c’è piuttosto, sottolinea Ord, «l’abitudine di non convivere, di non condividere le stesse risposte ai problemi. In queste condizioni i motivi per stare insieme vengono meno, al di là degli incontri formali». 

D’altro canto è difficile definirle chiese ghetto: semmai, «siamo noi ad apparire un ghetto di fronte a loro! Le chiese battiste più grandi e in crescita sono quelle ghanesi, brasiliane: quando cominciano ad assimilarsi, lo fanno da una posizione di potere e di influenza».

Tornando al contesto internazionale, nel suo intervento il direttore Bms ha espresso la speranza di una partnership con l’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (Ucebi) su argomenti concreti e specifici: «Per esempio la questione dei migranti e dei rifugiati, una missione si occupa anche di questo tipo di lavoro, potremmo mettere a disposizione capacità e competenze condividendo un progetto comune». 

Oggi però la strategia della Bms è di investire meno sull’Europa rispetto ad altre aree del mondo; il lavoro principale è infatti orientato sull’Africa e soprattutto sull’Asia: Medio Oriente (soprattutto Libano, con i rifugiati siriani), Afghanistan, India, Bangladesh. Per la Bms si è aperta una nuova pagina: «Il nuovo direttore generale, Kang-San Tan, è malese: per la prima volta non è un europeo. Questo ci dà uno sguardo diverso sull’Europa, che è vista anche come campo di missione: credenti del “sud del mondo” vogliono testimoniare l’Evangelo insieme a noi, con una prospettiva nuova. Siamo ancora agli inizi», conclude Ord, «e bisogna vedere se e come questa nuova realtà crescerà. Mi sento molto coinvolto da questo cambiamento, dall’idea di come fare missione nel mondo secolarizzato». 

Foto di Pietro Romeo: Mark Ord