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La presenza amorevole di Dio nella nostra vita

Tu sei il mio Dio fin dal grembo di mia madre

Salmo 22, 10

Ho questa fiducia: che colui che ha cominciato in voi un’opera buona, la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù

Filippesi 1, 6

 

Siamo di fronte ad un versetto di svolta all’interno di una preghiera, il Salmo 22, in cui predomina nella prima parte (vv. 1-22) una lamentazione accorata e disperata; l’orante si sente abbandonato da Dio (v. 1 «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», grido pregato anche da Gesù sulla croce), soffre tremendi dolori fisici (vv. 14-16 «tutte le mie ossa sono slogate, il mio cuore è come la cera, si scioglie in mezzo alle mie viscere, […] la lingua mi s’attacca al palato, […] posso contare tutte le mie ossa»), ma si tormenta anche spiritualmente a motivo dei suoi nemici. Costoro, infatti, lo ritengono umiliato da Dio, che non risponde al suo grido d’angoscia e pare aver spezzato il rapporto con lui. Questo disprezzo degli avversari aumenta la sua infelicità, fino a farlo sentire «un verme», non più appartenente al consorzio degli umani: a questo punto, vacilla anche la sua fede nel Dio dei padri.

È un attimo, però: dal rischio di cadere nell’abisso della mancanza di fede, nuova forza viene all’orante dalle solide basi della sua fede stessa: non solo la conoscenza della sublime maestà di Dio, impenetrabile all’uomo («Ma tu sei santo» v. 4), non solo il ricordo della storia della liberazione dall’Egitto, ma anche e soprattutto l’esperienza personale, intimissima di una presenza benevola e amorevole di Dio nella sua vita, sin dai suoi primi passi, anzi sin dalla sua vita nel grembo della madre.

La forza di una fede trasmessa persino con il sangue e il latte materno può essere invincibile: anche nelle sofferenze più atroci, fisiche, morali e spirituali, da essa verrà la spinta a compiere non solo il gesto di stendere comunque la propria mano verso un Dio che non ti sottrae al dolore, ma anche il canto di un inno di lode e ringraziamento, cui tutti sono invitati a partecipare (vv. 23-32).

Come i tanti pii ebrei che ad Auschwitz andavano incontro alla morte continuando a invocare “Adonai, Adonai”. (Shlomo Venezia, Sondernkommando Auschwitz p. 121).