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Quelle difficoltà che sfidano ad andare avanti

«Identità battista in movimento», un titolo con tre parole chiave in cui la principale non è quella che ci si aspetta: se «battista» delinea l’orizzonte, non è l’identità a essere stata messa a fuoco nel convegno nazionale del 6-8 aprile scorsi a Roma, nei locali della chiesa di Centocelle.

Le discussioni si sono concentrate soprattutto su movimento, circumnavigando la questione di un’identità difficile da delineare, dovendo parlarne al plurale e distinguendo fra orientamenti molto diversi. Si può dire che l’identità battista oggi è nel movimento, che è trasformazione, ma anche avvicinamento all’altro (nella fattispecie lo straniero); e ancora, itinerario, percorso. Identità e movimento sembrano quasi in contraddizione, se si concepisce la prima come definita, statica: ma nel corso del dibattito è risultato chiaro che non si poteva definirla altrimenti, un’identità che nessuno (evviva!) ha definito «liquida», ma che è in fase di profonda (ri)definizione.

Le ragioni sono diverse, e sono state espresse in modo critico. La prima è il ricambio generazionale tra quanti vissero lo storico convegno ecclesiologico del 1983, in cui si affrontò in modo programmatico (sebbene non per la prima volta) l’argomento dell’identità battista, e la generazione dei quarantenni di oggi, pronti a prendere in mano un testimone che tarda ad arrivare. Il convegno del 1983 è stato assunto come punto di partenza dalla relazione della Commissione storica, e più volte rievocato come momento di snodo nella definizione di un’Unione battista italiana dalla fisionomia indipendente dalla madre missione. Una data storica, eppure non ancora abbastanza distante da permettere uno sguardo prospettico.

Il secondo aspetto critico riguarda il difficile equilibrio tra organismo centrale (Unione) e autonomia delle chiese. Il patto di solidarietà che le lega, dando origine a un «congregazionalismo solidale» (come l’ha definito il pastore Massimo Aprile) fra le chiese realmente «autonome» e quelle con pochi mezzi, non risolve la tensione fra centralismo e autonomia, e lo stesso problema si ripropone a livello di associazioni regionali. In uno dei lavori di gruppo si è accennato proprio, ma senza avere modo di discuterne in plenaria, alla possibilità di estendere il Patto costitutivo anche a questo livello, rafforzandone l’aspetto istituzionale (come auspicato nelle conclusioni della Commissione storica). Nonostante un precedente tentativo fallimentare ricordato dal pastore Martin Ibarra, relatore per la Commissione, le associazioni regionali sono una realtà sempre più rilevante, e questo tema dovrà essere affrontato.

Così come dovrà essere affrontata e risolta al più presto la terza e forse più importante difficoltà, legata al rapporto con la componente straniera (in particolare brasiliana, in parte anche rumena), il cui orientamento rispetto ad alcuni temi (pastorato femminile, omosessualità) ha bloccato il dialogo e la partecipazione, come comprovato dal convegno, quasi esclusivamente «bianco». La componente immigrata, che negli anni Novanta ha fatto raddoppiare i membri dell’Unione battista, come ha fatto notare il pastore Raffaele Volpe, si rivela oggi un problema: «Non siamo stati capaci di assorbire questa rivoluzione».

Questo tema ha percorso il convegno in modo carsico, emergendo con preoccupazione senza essere oggetto di una relazione specifica. Due parole sono state pronunciate più volte, ospitalità e fiducia: una fiducia che è venuta a mancare e va recuperata, da entrambe le parti, come espresso nell’accorato intervento del pastore Manoel Florencio, per anni «ponte» fra la realtà brasiliana e quella italiana.

Forse i tempi non sono ancora maturi, né (è stato osservato) li si può forzare o accelerare: del resto anche nelle chiese italiane il pastorato femminile è storia recente. Tuttavia è auspicabile un confronto diretto, e il presidente dell’Ucebi Giovanni Arcidiacono si è detto fiducioso sulla possibilità di un incontro, insistendo sulla necessità di un «movimento reciproco».

Come si è detto, questo essere in movimento ha diverse facce, e uno degli indicatori più belli e vivi è una produzione innologica che si rinnova continuamente. Qualcuno ha rimarcato una scarsa e poco organica produzione teologica, ma chissà che la teologia battista italiana non sia espressa proprio dai nuovi canti, da quella capacità di unire diverse forme espressive (letteratura, cinema…) in una ricchezza che, come ha rilevato la giornalista Emmanuela Banfo nella bella «intervista a tre» che ha concluso il convegno, caratterizza i battisti rispetto ad altri.

La gioia e l’intensità del canto che ha contraddistinto tutta l’assemblea sembra il sintomo della voglia di andare avanti con ottimismo, nonostante le difficoltà, che è stata sottolineata da molti, anche da chi ha portato uno sguardo esterno, come il dr. Nigel Wright (già presidente dell’Unione battista della Gran Bretagna) e il pastore Mark Ord (Baptist Mission Society), che hanno sottolineato la differenza rispetto al contesto britannico.

Nella conclusione del convegno, che ha coinvolto Banfo e Ord con la conduzione del pastore Sandro Spanu, è stata proposta, tra il serio e lo scherzoso, una serie di titoli per un ipotetico articolo: «Battisti, missionari dei diritti umani e della pace», in particolare, più che un riferimento alla cerimonia di premiazione della guardia costiera che si sarebbe svolta alla fine della giornata in Campidoglio, appare soprattutto come l’obiettivo al quale puntare nonostante tutta la complessità e il disorientamento emersi. L’unica cosa davvero irrinunciabile, ha ribadito Banfo e ha suggellato il presidente Arcidiacono nel sermone conclusivo: la lotta per i diritti umani, la libertà e la giustizia, in un mondo disumanizzato e spietato con i poveri.

 
Foto di Pietro Romeo: La pastora Sandra Spada e il pastore Martin Ibarra della Commissione storica dell’Ucebi aprono la tavola rotonda al Convegno sull’identità Battista