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L’Ungheria nel segno di Orbán

Nessuna sorpresa dalle urne ungheresi. Vincendo le elezioni di domenica 8 aprile, il primo ministro uscente dell’Ungheria, Viktor Orbán, ha ottenuto il suo terzo mandato alla guida del Paese. Il suo partito, Fidesz (Unione Civica Ungherese), euroscettico e conservatore, ha sfiorato la maggioranza assoluta dei voti, ottenuto il 49,5 per cento dei voti, oltre il doppio del partito nazionalista e di estrema destra Jobbik (Movimento per un’Ungheria Migliore), che si è fermato al 20 per cento.

In un’Europa sempre meno innamorata della politica e sempre più restia a recarsi alle urne, l’affluenza in crescita in Ungheria è un segnale in controtendenza: il 69% degli aventi diritto si è recato a votare, una quota molto alta per l’Ungheria, superata soltanto nel 2002, e in diversi seggi si è continuato a votare ben oltre le 19 a causa delle code che si erano create. «Le urne in Ungheria chiudono presto – racconta Aron Coceancig, redattore di Ungheria News, portale di informazione sull’Ungheria – ma ieri sera abbiamo dovuto aspettare parecchio per avere qualche informazione. Secondo la legge ungherese i primi dati possono essere condivisi col pubblico solamente nel momento in cui l’ultimo elettore deposita la scheda nell’urna e questo è avvenuto ben 3 ore e mezza dopo la chiusura dei seggi». Anche se sembrava che l’alta affluenza potesse favorire i partiti di opposizione a Orbán, in realtà la mobilitazione dell’elettorato è stata forte anche in seno ai sostenitori del governo e del partito di maggioranza.

La conferma di Orbán in quello che poteva essere considerato un referendum su di lui e sul suo operato poteva sembrare scontata, ma di sicuro non lo erano i numeri: sembrava infatti difficile che potesse migliorare i risultati del 2014, quando Fidesz ottenne il 45% dei consensi. «Anche per tanti supporter di Fidesz questo risultato è stata una sorpresa», chiarisce Coceancig. Soprattutto, il partito di Orbán ha riconquistato i due terzi dei seggi del Parlamento, un numero sufficiente per modificare la Costituzione in totale autonomia. «È un risultato forte che testimonia come la politica avviata da Orbán ormai 8 anni fa sia apprezzata. Gli ungheresi hanno premiato sicuramente la crescita economica, che è molto forte e molto sentita e che per esempio vede la disoccupazione a un livello poco superiore al 3%, però ha giocato un ruolo importante anche la campagna propagandistica del governo, che è stata massiccia sui mezzi d’informazione. A tutto questo va aggiunto lo spauracchio della questione dei migranti, anche perché in particolare il partito di governo non ha assolutamente perso voti verso la seconda forza politica del panorama ungherese, Jobbik, la destra radicale che invece si aspettava un risultato molto più consistente».

La delusione nelle file di Jobbik per il 20% ottenuto è stata grande, al punto che il suo leader, Gabor Vona, si è dimesso dalla direzione del partito. Lo stesso Vona ha spiegato che l’obiettivo di Jobbik era vincere le elezioni e portare un cambiamento al governo, ma questo non potrà avvenire. Allo stesso modo, anche Gyula Molnar, segretario del Partito Socialista Ungherese, che ha ottenuto il 12% dei voti, ha annunciato le proprie dimissioni.

Le elezioni del 2018 sono state caratterizzate da una campagna elettorale molto dura, segnata da un alto livello di delegittimazione degli avversari e da un clima di pesante contrapposizione, al punto che oggi non è possibile immaginare alcun tipo di collaborazione tra le forze politiche. «Nessun partito dell’opposizione vuole intavolare trattative con Orbán e viceversa, però è anche vero che Orbán con i numeri di oggi non deve nemmeno avviare trattative politiche con questi partiti perché ha una maggioranza così schiacciante e un consenso popolare tale per cui non c’è interesse a cercare altri alleati o altri partiti con cui dialogare».

In Europa occidentale Orbán è noto per essere un convinto euroscettico e per le sue politiche contro i migranti e i richiedenti asilo. Durante la campagna elettorale, inoltre, aveva detto di voler adottare politiche ancora più severe per impedire flussi migratori dai paesi musulmani, dando quindi continuità alla sua azione di questi ultimi anni, che ha avuto nella costruzione della barriera anti-migranti con Serbia e Croazia uno dei momenti più simbolici. Inoltre, da anni Orbán è contrario a qualsiasi processo che porti a una maggiore integrazione europea e si è rifiutato di collaborare con gli altri paesi nella gestione della crisi dei migranti. Nel corso della campagna elettorale ha elogiato il presidente russo Vladimir Putin, ha promesso tagli alle tasse e l’adozione di nuove politiche per rilanciare l’economia del paese. «Con un risultato così forte – conclude Aron Coceancig – che conferma le posizioni aggressive di Orbán degli ultimi anni, tanto nel campo dei migranti che in quello dei diritti civili, Orbán avrà ancora più forza per continuare questa sua lotta intransigente e addirittura forse aumentare il livello dello scontro, forte del sostegno popolare che ha trovato nella tornata popolare di ieri». Insomma, per l’Ungheria di oggi “continuità” è la parola chiave.