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Dj Fabo, per il governo l’aiuto al suicidio deve rimanere reato

Martedì 3 aprile scadeva il termine per il Governo italiano per costituirsi parte del procedimento che si terrà davanti alla Corte Costituzionale per difendere la legge che vieta il suicidio assistito. Nell’ultimo giorno utile l’esecutivo ha quindi deciso di costituire l’avvocatura dello Stato con l’intenzione dichiarata di «definire meglio l’interpretazione della legge». Il caso da cui è partita la richiesta di valutazione sulla costituzionalità della norma è quello che riguarda Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, rinviato a giudizio per avere accompagnato Fabiano Antoniani, più noto con il soprannome Dj Fabo, a praticare il suicidio assistito in una clinica in Svizzera nel febbraio 2017. La Corte Costituzionale si esprimerà quindi su richiesta tanto dell’accusa quanto della difesa di un processo in Corte d’Assise di Milano e dovrà valutare l’eventuale incostituzionalità dell’articolo 580 del codice penale, risalente al 1930.

Nelle ultime settimane erano stati numerosi gli appelli per chiedere al governo di non schierarsi a difesa della legge che vieta il suicidio assistito: tra questi l’associazione Luca Coscioni, che promuove la ricerca scientifica e che è attiva nella difesa dei diritti civili e politici delle persone malate e con disabilità, attraverso la raccolta di 15.000 firme provenienti da rappresentanti del mondo accademico e giuridico, da scrittori, giornalisti e semplici cittadini. «Questa richiesta – spiega l’avvocata Filomena Gallo, coordinatrice del collegio di difesa di Marco Cappato e segretaria dell’associazione Coscioni – è stata disattesa. La scelta del governo è del tutto legittima, ma dopo aver letto le motivazioni della costituzione stessa direi anche pienamente politica». Negli ultimi anni, in più di un occasione l’esecutivo del nostro Paese si era astenuto dal difendere divieti presenti nel nostro ordinamento. Per esempio, nel 2015 l’avvocatura di Stato decise di non depositare alcun atto d’intervento a proposito del procedimento sulla Legge 40 e del divieto di accesso alle tecniche di fecondazione assistita per effettuare diagnosi pre-impianto per le coppie fertili. In questo caso, invece, si è scelto di andare avanti in difesa della norma esistente.

Il caso Antoniani

La vicenda di cui si discute è piuttosto nota e comincia quando Marco Cappato, dirigente radicale e tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, decise di rispondere a una richiesta di Fabiano Antoniani, paralizzato e cieco in seguito a un incidente, che aveva deciso di accedere al suicidio assistito. Rimanendo nei confini italiani e all’interno delle normative del nostro Paese, Antoniani avrebbe potuto chiedere cure palliative e sedazione profonda, ma la sua scelta era diversa, ovvero quella di salutare i propri cari e ricevere un farmaco letale che potesse interrompere le sue sofferenze immediatamente. Marco Cappato, contattato dalla compagna di Dj Fabo, lo aiutò quindi a raggiungere la Svizzera partendo da Milano, dove viveva, in linea con i principi di un’associazione fondata dallo stesso Cappato insieme a Mina Welby e a Gustavo Fraticelli con l’obiettivo di aiutare chi ha bisogno di questo tipo di aiuto e fare una disobbedienza civile. «Disobbedienza civile – chiarisce Filomena Gallo – non significa invitare gli altri a delinquere o a violare le norme nel nostro Paese, ma significa richiamare l’attenzione del legislatore e della politica su norme non corrispondenti più alle tutele che attualmente abbiamo nel nostro ordinamento. Nella tradizione radicale è un approccio che si porta avanti per l’estensione a tutti dei diritti». Rientrando in Italia, il dirigente radicale decise poi di autodenunciarsi, dando il via al procedimento. «Cappato – spiega l’avvocata Gallo – ha rinunciato all’udienza preliminare perché era importante fare chiarezza, perché il capo d’imputazione era quello di aver rafforzato la volontà di Fabiano e averlo aiutato a raggiungere quello che voleva, cioè l’aiuto al suicidio, in violazione dell’articolo 580 del Codice penale». Durante il processo sono stati sentiti amici e familiari di Antoniani, la compagna, la madre, anche l’assistente che ogni giorno lo assisteva nelle faccende quotidiane di cura della persona, così come i medici che lo hanno avuto in cura in questi anni, raccogliendo una quantità di testimonianze che hanno poi portato la corte di assise di Milano a scagionare Marco Cappato dal reato di istigazione e rafforzamento della volontà di Fabiano, perché è stato dimostrato che Fabiano era ben determinato a raggiungere quell’obiettivo. Ancora oggi, invece, rimane in piedi l’accusa per aiuto al suicidio, perché i fatti compiuti da Marco Cappato sono penalmente rilevanti.

L’articolo 580

L’oggetto del contendere è dunque l’articolo 580 del codice penale, nel quale si afferma che «chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima». La norma risale al 1930, l’anno della promulgazione del codice penale attualmente in vigore. «È un articolo – aggiunge Gallo – scritto in piena epoca fascista, quando vi era una diversa tutela della persona e delle libertà rispetto a oggi. Questo divieto tende a punire chi aiuta a praticare il suicidio al pari di chi determina e di chi rafforza quella volontà». Questa assenza di un discrimine tra comportamenti differenti è il motivo per cui la corte di assise di Milano ha deciso di sollevare il dubbio di legittimità costituzionale, ritenendo che nel caso di Dj Fabo non ci sia stato un rafforzamento della volontà o un’istigazione al suicidio, ma soltanto un aiuto nei confronti di quella persona che era ben determinata, aveva ben deciso ed era una persona capace di intendere e di volere.

Il processo

A questo punto il processo a carico di Marco Cappato è stato sospeso e ora i giudici della Corte Costituzionale dovranno decidere se quel divieto fa parte del nostro ordinamento ed è costituzionalmente legittimo, quindi rispetta i principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale, oppure se è un divieto da modificare o da interpretare in modo diverso. Secondo una nota del ministero della Giustizia, la costituzione dell’avvocatura di Stato in difesa del divieto non è rivolta contro Marco Cappato, ma intende fare chiarezza per non creare situazioni di lilegalità. «Siamo tutti dalla stessa parte», spiega l’avvocata Filomena Gallo. «Nessuno vuole creare situazioni di illegalità e riteniamo che quel divieto debba persistere nel nostro ordinamento, perché nessuno dev’essere costretto a suicidarsi, nessuna volontà dev’essere manipolata, ma riteniamo che nel momento in cui c’è una persona determinata che non ha subito nessuna influenza e che ha bisogno di quell’aiuto perché impossibilitata a farlo da sola, in quel momento il medico, la persona che la aiuta, non dev’essere perseguibile». Per contro, l’avvocatura di Stato nella sua costituzione ha sottolineato che il divieto deve rimanere nel nostro ordinamento esattamente com’è. «Continueremo in tribunale – aggiunge Gallo – dinnanzi alla Corte Costituzionale a difendere la libertà della persona consapevole e capace di intendere e di volere. Lo faremo dinanzi alla Corte Costituzionale affinché l’articolo 580 sia un precetto che rimane, ma che sia anche corrispondente ai nostri tempi, alla carta costituzionale italiana e che rispetti la libertà delle persone». Oltre al governo, al procedimento in Corte Costituzionale parteciperanno anche alcune associazioni cosiddette pro-life, come il Movimento per la vita. «Voglio precisare – conclude Filomena Gallo – che è nostro interesse che non si crei nessuna situazione di illegalità e la disobbedienza di Marco Cappato è una disobbedienza affinché il legislatore e i tribunali garantiscano l’affermazione di libertà ed evitino anche nel pratico qualsiasi forma di illegalità».

Fuori dai tribunali

Il tema del suicidio assistito, spesso associato a quello dell’eutanasia, vive anche di un percorso lungo la via parlamentare: nel 2013, infatti, l’associazione Luca Coscioni, insieme ai Radicali italiani e ad altre organizzazioni, aveva depositato una proposta di legge di iniziativa popolare sottoscritta da circa 70.000 firme di cittadini italiani per chiedere la la legalizzazione dell’eutanasia e un intervento normativo anche sull’articolo 580, linea con l’articolo 71 della Costituzione, che definisce la competenza dell’iniziativa legislativa nel nostro Paese. Tuttavia, quella proposta di legge non è mai stata calendarizzata, e si trova da cinque anni alla Camera in attesa di iniziare il suo percorso.