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Croce e resurrezione, un unico sguardo

«Noi saltiamo sempre il racconto della croce e andiamo dritti verso la resurrezione». Leggendo quest’affermazione di una monitrice della Scuola domenicale, mi sono resa conto con un po’ di imbarazzo che anche noi del Servizio Istruzione ed Educazione della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei), che prepariamo la rivista La Scuola domenicale, quest’anno nelle nostre proposte abbiamo «saltato» il racconto della croce. Questo mi ha fatto riflettere su come raccontiamo, nelle nostre chiese e famiglie, la Passione e la Pasqua ai bambini che ci sono affidati.

Spesso non è prevista la Scuola domenicale durante il culto del Venerdì Santo e con questa scusa saltiamo volentieri il tema pesante della morte, per arrivare direttamente alla gioia della resurrezione. Però dobbiamo chiederci: che gioia è?

Nelle chiese cattoliche la liturgia del Venerdì Santo non è una celebrazione eucarestica; i riformatori non hanno cambiato questa prassi. Però a partire dal XVII secolo, per la fede evangelica sono diventati sempre più importanti i giorni di penitenza, in particolare il Venerdì Santo. Negli anni del Pietismo riformato certe chiese calviniste celebravano la Santa Cena addirittura solo una volta all’anno, proprio il Venerdì Santo, quando si andava in chiesa vestiti di nero e in lutto. Così il Venerdì Santo è diventato nel XIX secolo la festa evangelica per eccellenza. Il messaggio è questo: non possiamo festeggiare la vita senza attraversare la valle della morte. Senza il sacrificio di Gesù Cristo sulla croce, la nostra fede sarebbe nulla. La croce e la resurrezione devono essere viste insieme.

Mi chiedo come mai questa convinzione evangelica dell’importanza della morte di Cristo sia diventata con il passare del tempo, un disturbo che ci togliamo volentieri. Forse ciò ha a che fare con un eccessivo peso che i nostri padri hanno dato al ravvedimento. Forse vi hanno contribuito anche delle rappresentazioni della crocifissione che sembrano più vicine al genere horror che a quello religioso. Forse è legato anche ai nostri tempi, che sembrano già abbastanza pesanti in sé, e al pensiero che sia compito di Dio alleggerirci la vita.

Io sono convinta che non possiamo sentire la vera gioia della Pasqua senza sentire altrettanto forte il lutto del Venerdì Santo.

Il racconto biblico della Passione e della Pasqua è così affascinante, anche per dei bambini, perché ci racconta di sentimenti forti e veri. Possiamo vedere grande gioia accanto alla forte delusione, alla rabbia e alla tristezza. Se osserviamo dei personaggi come Simon Pietro, possiamo vedere addirittura come questi sentimenti contrastanti siano presenti in una stessa persona. Pietro deve rendersi conto che, con tutto il suo entusiasmo e la sua buona volontà, non riesce a servire adeguatamente il suo Signore. Non riesce a rimanere sveglio per pregare con lui. Non riesce a controllare la sua rabbia davanti ai soldati sul Getsemani. Non riesce a testimoniare la sua appartenenza a Cristo nel giardino del Sommo Sacerdote e alla fine non sarà neppure presente sotto la croce del suo Signore. Pietro non ha niente di cui vantarsi davanti a Dio, e con questo è uguale a tutti noi, che possiamo accostarci al trono di Dio solamente a mani vuote. Pietro avrebbe evitato volentieri questi momenti poco lusinghieri per se stesso. Però non sarebbe stato lo stesso. Essi servivano, a un personaggio pieno di sé com’era Pietro, ad attraversare tutto il lutto e la pesantezza della passione per poi sentire vera gioia nell’incontro con il risorto.

Non è facile raccontare la Passione e la Pasqua a dei bambini che non ne sanno niente. Dobbiamo trovare le giuste parole per spiegare che cos’è una «crocifissione», che cosa vogliono dire «peccato», «salva te stesso», «disceso nel soggiorno dei morti» e infine anche «resurrezione».

Non è semplice parlare di questi temi nemmeno agli adulti. Però sono proprio i temi cruciali della nostra fede e ogni cristiano dovrebbe essere in grado di darne testimonianza anche con «parole povere», o forse soprattutto con queste, se vogliamo definire così le parole che vengono dalla nostra fede.

In questo compito, e a fare crescere la nostra fede, ci aiutano proprio i bambini, perché non accettano delle risposte preconfezionate e colgono bene se noi stessi siamo convinti di ciò che diciamo. Questo può aiutare per primi noi stessi, se ognuno risponde alla domanda: che cosa significano la croce e la resurrezione per me? Per presentare il racconto della Passione e Pasqua ai bambini non servono «effetti speciali»: è già di per sé un racconto drammatico. Servono piuttosto autenticità e sentimenti veri.

Mi auguro che, avvicinandoci alla Pasqua, possiamo vivere insieme, grandi e piccoli, i sentimenti nei quali i testi biblici ci portano. Un vero lutto per il dolore che Gesù Cristo ha preso su di sé per colpa nostra, e una vera gioia per il dono della vita che egli ci fa.

 Il Signore è morto e risorto. Alleluia!