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Goffredo Varaglia e la libertà religiosa

A Torino il 29 marzo la chiesa valdese renderà omaggio al predicatore Goffredo Varaglia, ucciso lo stesso giorno del 1558 dall’Inquisizione. L’occasione, oltre alla ricorrenza e al ricordo dell’intellettuale e pastore protestante, «è un’opportunità per ricordare al neo-insediato Parlamento di agire sul fronte della libertà religiosa e di coscienza». Ne abbiamo parlato con il pastore valdese Paolo Ribet.

«Goffredo Varaglia – dice a Riforma.it il pastore valdese di Torino, Paolo Ribet – era un predicatore, un pastore calvinista italiano di Busca, località in Provincia di Cuneo (Val Maira) e nato nel 1507. Ordinato frate francescano nel 1528 ebbe modo di girare l’Italia per tanti anni. Nel suo peregrinare incontrò Bernardino Ochino, allora generale dei cappuccini e uomo che poi si convertirà alla fede protestante. Anche Varaglia, dopo quell’incontro, ebbe modo di interessarsi alle idee della Riforma, convincendosi di quei fondamenti. Decise dunque di lasciare le sue importanti cariche e di emigrare a Ginevra dove studiò per sei mesi prima di essere inviato a predicare presso le comunità valdesi delle Alpi Cozie, oggi dette “valli valdesi”. Accadde allora che, invitato per una disputa nella pianura, fu fatto prigioniero dall’Inquisizione nel Comune di Barge e condannato al rogo per eresia. Rogo, si narra, che seppe affrontare con animo sereno e coraggioso, in quanto decise di parlare per più di quindici minuti alla folla intervenuta, più di diecimila persone, e radunatasi in Piazza Castello a Torino per vederne l’esecuzione, e dove il boia, dopo aver tolto la vita al pastore valdese con l’impiccagione, diede fuoco a quel corpo ormai esanime.  Varaglia fu una delle tante vittime dell’intolleranza del tempo».

Una ricorrenza, ma anche un omaggio alla libertà di coscienza e di pensiero. È così?

«La memoria di ciò che è stato può indicare vie migliori da intraprendere. Nel 2000 il Comune di Torino decise di apporre una targa in memoria di Varaglia proprio nel luogo dove avvenne il rogo. E nell’impiantito della piazza, la comunità valdese e non solo, il 29 marzo si riunirà per i 460 anni da quel giorno. Non intendiamo interpretare l’appuntamento come nostro, l’abbiamo definito un flash mob. L’iniziativa, senza una vera e propria regia, intende attirare i passanti oltre agli intervenuti per far emergere quanto libertà di coscienza, di espressione, di religione, siano importanti per ognuno di noi. Non intendiamo incontrarci con retoriche separazioni: valdesi da una parte e cattolici dall’altra, tutt’altro. Oggi tutto è cambiato, le religioni dialogano e collaborano tra loro, i roghi di allora e l’Inquisizione sono storia; ciò che rimarcheremo con forza è l’urgenza che si arrivi al più presto in Italia a una Legge generale per la libertà religiosa, di culto e di coscienza».

Torino, la chiesa valdese e il Comitato Interfedi (sorto in occasione delle Olimpiadi invernali del 2006), si muovono in questa direzione; a livello nazionale operano la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) e la Commissione delle chiese evangeliche per i rapporti con o Stato (Ccers). E così?

«Certamente. Ricordo il nostro recente impegno in questo senso con il convegno tenutosi lo scorso 16 febbraio dal titolo “Religioni e democrazia”, promosso dalla chiesa valdese di Torino in collaborazione con la Comunità ebraica di Torino. In un panel dei lavori, in particolar modo, si è insistito sulla necessità di poter arrivare, quanto prima, a una legge quadro per la libertà di coscienza. Valdo Spini ha voluto ricordare che, non approvare una legge a garanzia della libertà di culto, omnicomprensiva – e che dunque comprenda anche chi, senza Intese con lo Stato italiano è ancora tutelato attraverso le vecchie leggi di epoca fascista, del 1929/30 sui “culti ammessi”, ad esempio i Testimoni di Geova e soprattutto per i musulmani –, sarebbe un grave errore. Pensiamo alle seconde e alle terze generazioni di giovani, sempre più frustrati. Generazioni di ragazzi italiani, cittadini italiani, senza cittadinanza che, giustamente, si sentono discriminati. Una situazione che, se non sanata al più presto, potrebbe portare fenomeni simili a quelli che attualmente coinvolgono le banlieue francesi».

Un vulnus pericoloso dunque?

«Negare le libertà di coscienza e di culto sono tattiche politiche di corto respiro. Poco lungimiranti. Per questo motivo il Comitato Interfedi ha deciso di diffondere e sostenere il comunicato della Ccers: l’appello inviato alle forze politiche affinché si facciano promotrici in questa legislatura di una legge per la libertà religiosa. I rappresentanti di tutte le religioni di Torino hanno deciso di farlo proprio e di interpellare a loro volta le forze politiche chiedendo di agire proprio in questa direzione. Si è sentito dire che c’è una grande volontà di cambiamento in Italia e che il recente risultato delle elezioni rappresenti questa volontà. Ebbene, la profonda volontà di cambiamento parte proprio dalle libertà individuali e non esclusivamente da motivazioni economiche o dal senso di frustrazione di chi si è sentito emarginato; parte anche dalla libertà di coscienza e di religione. Allora, se si intende cambiare davvero, credo che il Parlamento debba tirare fuori dal cassetto, dove giace da vent’anni, la proposta di legge per la libertà religiosa, oppure approvare i nuovi testi in via di elaborazione e presentati in questi anni. È con questo spirito che ci ritroveremo in Piazza Castello il 29 marzo alle 18,30».