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Open Arms: «L’unico motivo che ci spinge a operare in mare è salvare vite umane»

«Siamo molto orgogliosi di essere riusciti ad accompagnare a Pozzallo persone salve, vive, e di non aver dovuto portare nessun cadavere, com’è capitato in altre occasioni. Purtroppo le autorità non ci hanno reso la cosa facile», queste sono state le parole, ieri in conferenza stampa a Roma nella sede del Senato, dette da Oscar Camps, il fondatore e presidente di Proactiva Open Arms, la nave messa sotto sequestro a Pozzallo per aver salvato in acque internazionali molte persone e nella quale hanno prestato servizio nella missione precedente a quella incriminata due operatori di Mediterranean Hope, il progetto della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei).

In Italia «Stiamo introducendo il reato di solidarietà. Cosa si sarebbe dovuto fare: lasciare i migranti ai proiettili della Guardia Costiera libica?», ha denunciato lo scrittore Roberto Saviano in un video messaggio inviato ai partecipanti.

«Open Arms filma tutto – ha ricordato ancora Camps – per una questione di tutela e di trasparenza» chiedendo di mostrare ai presenti alcune immagini nelle quali sono evidenti le minacce di morte indirizzate alla Ong dalla Guardia costiera libica,  e in cui si vede intimare ai gommoni, con a bordo donne e bambini, di restituire le persone imbarcate, pena la morte.

All’incontro, promosso dal presidente della Commissione diritti umani del Senato Luigi Manconi erano presenti Oscar Camps, Riccardo Gatti il capitano italiano della nave e l’avvocato penalista Alessandro Gamberini.

«In tutta questa vicenda la cosa che colpisce – ha ricordato Gamberini – è la pretesa che ha avuto la Procura di Catania di fare un provvedimento d’urgenza, arrogandosi la possibilità del sequestro della nave con la presunta imputazione di “Associazione per delinquere”  e non  per “Immigrazione clandestina” o “Favoreggiamento all’immigrazione clandestina”. Una forzatura che ha permesso il sequestro della nave. Una forzatura intollerabile anche dal punto di vista giuridico. Il giudice delle indagini preliminari è ora chiamato a convalidare il provvedimento e noi chiederemo di non convalidarlo e di sbloccare immediatamente il sequestro».

Anche perché Proactiva è tra le Ong che hanno firmato il protocollo con il Governo e «dal luglio del 2016 – dice Camps – lavora in modo collaborativo con la Guardia costiera italiana ed ha operato il salvataggio in mare di 14000 persone con la nave Astral».

Perché, «proteggere e salvare vite umane in alto mare – prosegue – è la priorità di qualsiasi nave civile e militare. Tutte le altre scelte passano in secondo piano. É per questo motivo che Open Arms non appena ricevuto l’avviso dalle autorità italiane ha deciso di muoversi, di intervenire; sempre in pieno coordinamento con la Guardia costiera italiana, così come abbiamo sempre fatto sino ad ora. Anche l’informazione non ci è stata d’aiuto. Le informazioni emerse in questi giorni le definirei “tossiche” perché hanno generato molta confusione, conflitti, disinformazione. Voglio ribadire, ancora una volta – conclude Camps – che l’unico motivo che ci spinge a operare in mare è salvare vite umane».

Il Codice di comportamento «di cui si è parlato in questi giorni – ha posto l’accento Manconi – e che ha generato equivoci, è quello sottoscritto da alcune Ong tra cui la Proactiva, come prima firmataria, e il Ministero dell’Interno. Quel codice non ha alcuna forza di legge, non è una norma, non è un prodotto parlamentare: è un accordo pattizio tra l’Interno e privati, come Proactiva. Questo – prosegue Manconi –, per dire in modo inequivocabile che, se mai, e noi riteniamo che non sia mai accaduto in questa circostanza, fosse stato violato un articolo di quel codice, non si tratterebbe in alcun modo di reato».

«Temo– prosegue Manconi –,  che dietro ci sia una volontà di un settore esile della magistratura di voler avere, e a tutti i costi, ragione su fondamenti probatori. L’accordo Italia Libia non prevede la violazione sistematica dei diritti umani, cosa che invece avviene nei cosiddetti centri di detenzione e laddove sono destinati coloro che la Guardia costiera libica intercetta in mare. Sono convinto che il ministro dell’Interno, quando ha voluto stipulare quell’accordo, sperava non si verificasse questa situazione. Però c’è uno snodo cruciale. La Libia non ha mai firmato la convenzione del 1951 di Ginevra, ad esempio, e dunque, non può essere considerato un Paese sicuro. Qui risiede uno dei punti cardine sia per l’accordo Italia-Libia sia per la questione della Open Arms che ha deciso di non restituire le persone salvate. Riportare persone che fuggono da guerre, torture e persecuzioni nel paese da cui stanno fuggendo, dunque insicuro come stabilisce il diritto internazionale, è impensabile».

La Federazione delle chiese evangeliche in Italia, la Casa delle culture – Mediterranean Hope e la Chiesa metodista di Scicli invitano quanti/e lo vorranno a manifestare (sabato prossimo dalle 10 alle 13) la massima solidarietà ai membri dell’equipaggio della Ong Proactiva Open Arms la cui nave è al momento bloccata a Pozzallo perché, ricordano «Salvare vite e garantire un soccorso umanitario non è un reato, ma un principio di umanità e civiltà».