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La casa di Sara

Le Fiji, paradiso terrestre nell’immaginario generale… ma non per le donne che ci abitano: qui c’è uno dei tassi di violenza sulle donne più alti del mondo: «I dati dicono che circa due terzi delle donne hanno dovuto affrontare una violenza psicologica e/o sessuale. Includendo la violenza emotiva, la percentuale sale al 74%, e considerando le donne dai 15 anni di età, il 31% di loro ha subito aggressioni fisiche o sessuali da altri che non fossero i loro partner». A ricordare questi dati è la rev.da anglicana Sereima Lomaloma, della diocesi della Polinesia, sul sito Church Times, sottolineando il paradosso per cui nel mondo la violenza contro donne e ragazze è una delle violazioni dei diritti umani più diffusa, ma anche la meno perseguita. Accanto a ciò, è diffusa la percezione che le chiese siano complici di questa situazione attraverso il loro silenzio. La chiesa viene accusata di non pronunciarsi abbastanza chiaramente contro la violenza di genere, di non impegnarsi nella correzione di cattive interpretazioni dei testi biblici usate per giustificare gli abusi. «Molti – accusa Lomaloma – vedono la chiesa come una forza conservatrice, resistente al cambiamento: o peggio, che nega che la violenza avvenga anche al suo interno».

Negli ultimi anni la diocesi anglicana della Polinesia ha deciso di reagire: lo spartiacque si è avuto nel 2013, quando il Sinodo ha approvato una risoluzione per una “tolleranza zero” nei confronti della violenza su donne e bambini in tutti i contesti della comunità, dalle parrocchie alle case. Era la prima volta che la Chiesa prendeva posizione pubblicamente, rifiutando in modo categorico ogni forma di violenza e adottando la Carta per la sicurezza nelle chiese della Comunione anglicana (ne avevamo parlato qui). Nello stesso anno il Sinodo rivedeva il suo regolamento e già due anni dopo la rappresentanza delle donne è aumentata dal 5% verso una maggiore equità. Il percorso verso una «chiesa sicura», spiega Lomaloma, include la riflessione sulla percezione della donna, su una serie di norme sociali che continuano a proporre un’immagine della donna inferiore all’uomo, in una società ancora patriarcale e improntata sui valori tradizionali. Cita alcuni esempi, tra cui la convinzione che un certo tipo di abbigliamento possa essere provocatorio (e giustifichi quindi uno stupro), che il capofamiglia sia sempre il marito, o le interpretazioni restrittive del vincolo matrimoniale (“nella buona e nella cattiva sorte”) e di alcuni testi biblici (Eva che porta l’uomo al peccato, Eva nata dalla costola di Abramo e quindi subordinata per natura…).

In questo contesto si inserisce una delle iniziative più importanti della chiesa anglicana in questo ambito: House of Sarah, nata nel 2009, di cui Lomaloma è una delle responsabili. La moglie di Abramo è stata scelta per la sua vicenda altamente significativa, da donna sterile a madre di un popolo, simbolo della radicale trasformazione apportata nella sua vita dall’intervento di Dio. House of Sarah oltre a offrire figure di supporto per le persone vittime di abusi, tiene laboratori sul tema della «chiesa sicura», animazioni teatrali, studi biblici, approfondimenti (a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti umani), laboratori nelle scuole sulla parità di genere e la prevenzione della violenza. Nel frattempo anche la diocesi ha messo in atto diverse iniziative, tra cui spot alla televisione e al cinema, domeniche di “rottura del silenzio” in cui si condanna apertamente la violenza.

Non è da trascurare, infine, l’intreccio fra due problemi apparentemente slegati: violenza di genere e cambiamenti climatici, quest’ultimo sempre più preoccupante in queste regioni. Come spiega la reverenda Lomaloma al termine del suo intervento, secondo le Nazioni Unite c’è stato un aumento del 300% delle violenze domestiche nel periodo successivo ai cicloni che hanno investito le isole di Vanuatu nel 2011 e situazioni analoghe si sono verificate anche altrove successivamente. La destabilizzazione portata dalla necessità di abbandonare le proprie case e vivere in spazi ristretti e provvisori per lunghi periodi ha creato condizioni di disagio che hanno acuito il problema delle violenze. Ecco perché lavorare per una chiesa e una società libera dalla violenza è così urgente.