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Un angolo di paradiso nel Barrio Borro

Tre elicotteri volano a bassissima quota sopra le nostre teste, in tondo. Un piccolo aereo passa poco dopo ancora più basso. Più in alto incrociano altri cinque aerei. Il tutto per le oltre due ore che rimaniamo nel Barrio Borro, uno dei quartieri più poveri e disagiati di Montevideo, capitale dell’Uruguay. Grate e sbarre a tutte le finestre, il consiglio di non scattare foto durante l’avvicinamento in minibus alla Fundacion Pablo de Tarso – Obra Ecuménica Barrio Borro e quello di nascondere zaini etc, polizia con blindati in ogni dove e la notizia che il giorno prima, dopo il ferimento di un bambino, il barrio, il quartiere, è stato blindato dalla polizia: nessuno poteva entrare e nessuno poteva uscire.

Dal barrio in una ventina di minuti l’autista ci porta rapidamente in centro a Montevideo dove la situazione è totalmente diversa: monumenti, statue (a tutti, da Confucio a Garibaldi), negozi, shopping, gallerie commerciali…: un altro mondo. In mezzo c’è il grande lavoro dell’Obra Ecuménica: ma è una goccia in un oceano di criminalità, fatta di furti, rapide e delitti. «Questi elicotteri e aerei non danno certo tranquillità al barrio – ci spiega la giovane direttrice Lucia Barros –; inoltre la presenza di molti giornalisti ha reso la situazione assai tesa».

Ma non era certo necessario la spiegazione di Barros per capire che siamo capitati in un momento molto delicato. «Ci occupiamo di giovani che abbandonano la scuola, cerchiamo di dare loro un’istruzione, un futuro, con attività didattiche e laboratori». La struttura è molto «vissuta» e lontana anni luce dai nostri standard. Eppure tutto il barrio rispetta questo avamposto di legalità e istruzione. «Più di cento ragazzi e ragazze vengono ogni giorno – continua Barros – e riusciamo a garantire il servizio grazie allo Stato che copre il 70% delle spese. Il resto arriva dai progetti Otto per Mille valdese che ci permette di andare avanti e fornire un buon servizio anche grazie alla presenza di numerosi volontari da tutto il mondo. Quest’anno siamo stati costretti a chiudere alcune attività per mancanza di fondi statali, la speranza è di poter ripartire». Lo Stato centrale è tanto vicino fisicamente quanto lontano nella programmazione. Un esempio? «Sono stati inseriti circa 200 migranti provenienti da Santo Domingo nel barrio poco tempo fa. Persone con alle spalle storie molto difficili legate alla “tratta” e che qui hanno trovato un luogo già molto problematico. Forse sarebbe stato meglio redistribuirle in altre zone…», conclude Barros.

Prima di ripartire (e l’autista non indugerà agli incroci e nelle strette strade) ci fermiamo ancora un momento nel cortile dell’Obra Ecuménica: nonostante l’eco di aerei ed elicotteri e la situazione tesa, sono i sorrisi sui volti della direttrice, delle persone che lavorano nel centro, dei volontari (tra cui Miriam Sappé) e soprattutto sui volti dei ragazzi a far sì che ci sia un futuro meno cupo per molti ragazzi e ragazze del Barrio Borro.