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Raccontare Lutero a cinque secoli dalla Riforma

«“Sento un sudore freddo di morte”»; poi, prega e recita un salmo in latino e in latino ripete tre volte “Nelle tue mani, Signore, affido il mio spirito”.

Lutero si trova nella città natale di Eisleben, dove si era recato per rappacificare i conti di Mansfeld – città e contea da lui considerata la sua vera patria. Il 18 febbraio 1546 muore. Fra le sue carte viene trovato un biglietto indirizzato al Dio vivente: «“Siamo dei mendicanti. È vero”». Da questo testamento spirituale parte un racconto delle vicende di Martin Lutero, narrato da Mario Del Bello per Città Nuova in occasione del 500° della Riforma*.

«L’uomo della rivoluzione», recita il sottotitolo: è la narrazione della vita «di un uomo che ha scosso l’Europa con la sua personalità, un’avventura umana e spirituale dopo la quale l’Occidente non è stato più quello di prima». La narrazione, in sé articolata, è piana non piatta. Da essa emerge la fisionomia del secolo: «Il padre lo vuole uomo di legge. Non si discute con i genitori, e Martin si ricorda le botte che ha preso da ragazzo a casa, come pure a scuola. Anche il Dio che si predica è un giudice rigoroso assiso in maestà sull’arcobaleno del cielo, che accoglie i giusti e manda all’inferno i peccatori, come mostrano i polittici delle chiese, per cui bisogna affidarsi all’intercessione dei santi, alla Vergine Maria e ad acquistarsi “meriti” presso di Lui con molte opere buone perché sia misericordioso nel giudizio finale».

E il temperamento di colui che ne divenne il protagonista: «Martin è un giovane abituato a riflettere sui fatti che gli capitano». Rifletterà, appunto, alla sua prima messa: «“Come posso parlare davanti a un Dio di tale maestà, farmi mediatore tra lui e gli uomini senza l’aiuto di Cristo?”». Nella sua vita quotidiana nel convento degli agostiniani è del continuo assalito «da tempeste interiori» e da dubbi. Così, nel corso del suo viaggio a Roma (1510), mentre sale in ginocchio la scala santa come fece Gesù lasciandovi tracce del proprio sangue: «“Ma sarà vero?”».

Due anni dopo, ottiene la cattedra di Teologia a Wittenberg; l’anno seguente, diventa professore di esegesi biblica. «Potrà spiegare la Scrittura, proporre una sua visione, in un’epoca di scarsa profondità teologica e di poca chiarezza nella fede. La vita gli sta cambiando». E sarà un procedere vieppiù «burrascoso», da lui stesso mai immaginato: dalle 95 Tesi (1517) alla Confessione augustana (1530) passando per la spada di Damocle di Worms (1521); un percorso esistenziale segnato dal filo rosso della «ricerca di Dio» e dalla «passione per il Cristo e la sua parola, con coerenza e tormento dall’inizio alla fine».

«E la sua figura e la sua opera continuano a parlare a una civiltà, quella occidentale, che molto gli deve». Un testo propedeutico, questo, che permette un approccio storicamente corretto ed esente da pregiudizi (più o meno confessionali) e che – anche in forza dei titoli di paragrafo, di «schede» storiche poste a fine volume e di una valida bibliografia – immette il lettore nell’orizzonte di quei tempi e di quegli eventi epocali che lo scossero irreversibilmente sin dalle fondamenta.

* M. Dal Bello, Lutero. L’uomo della rivoluzione. Roma, Città Nuova, 2017, pp. 136, euro 13,00.