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L’accordo Italia-Libia di fronte alla Consulta

Il 2 febbraio 2017 veniva firmato a Roma il Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica italiana, che, riassunto nella formula “accordo Italia-Libia”, ha segnato il dibattito sulle migrazioni lungo tutto lo scorso anno. Gli effetti dell’intesa tra il governo Gentiloni e il primo ministro di Tripoli Fayez al-Sarraj sono stati numerosi e immediati, al punto da aver portato sin dall’estate del 2017 a una trasformazione dei flussi migratori in entrata nel nostro Paese lungo la rotta del Mediterraneo centrale e un generale allontanamento verso sud della frontiera meridionale dell’Unione europea.

Tuttavia, il Memorandum potrebbe finire presto di fronte alla Corte costituzionale per via di un ricorso presentato il 19 di febbraio dai deputati Brignone, Civati, Maestri e Marcon assistiti da quattro avvocati dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi) per sollevare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. L’articolo 80 della nostra Costituzione, infatti, prevede che le Camere autorizzino «la ratifica dei trattati internazionale che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi». Per il Memorandum, invece, non è mai stata presentata dal governo italiano alcuna richiesta di autorizzazione alla ratifica, né sono state adottate altre forme di comunicazione. «Nel momento in cui – spiega l’avvocata di Asgi Giulia Crescini, specializzata in diritto dell’immigrazione, che ha contribuito alla presentazione del ricorso – il governo firma un accordo internazionale che ha determinate caratteristiche e c’è in questo caso un accordo internazionale che ha natura politica, deve sempre chiedere l’autorizzazione al Parlamento italiano. Questo non è stato fatto e il governo ha proceduto all’attuazione dell’accordo senza ratifica».

Tuttavia, la questione è ancora più complicata: in questi tredici mesi il Parlamento non ha mai sollevato un conflitto di attribuzione con il governo, mentre ci sono stati alcuni parlamentari, tra cui quelli che poi hanno presentato il ricorso, che numerose volte hanno chiesto spiegazioni per questa anomalia sia al Governo sia al Parlamento, senza arrivare però mai a un atto politico. «Per noi – chiarisce Crescini – questo era un problema di diritto costituzionale, pertanto abbiamo ritenuto di poter provare a sollevare questo conflitto di attribuzione direttamente da parte dei singoli parlamentari, che lamentano una lesione di una loro prerogativa rispetto al governo».

Se il ricorso dovesse essere dichiarato ammissibile dalla Consulta e dovesse arrivare fino in fondo al proprio percorso, sul Memorandum potrebbe pesare un giudizio di lesione delle prerogative parlamentari, che avrebbe una conseguenza radicale: come spiega Giulia Crescini, «l’accordo sarebbe dichiarato nullo come tutti i decreti che sono già stati posti in essere in attuazione dell’accordo medesimo».

Tornare indietro rispetto all’accordo, diventato subito operativo e con effetti molto evidenti, sarebbe molto complesso. Più realisticamente, se si decretasse l’incostituzionalità dell’accordo il governo italiano dovrebbe passare attraverso quella ratifica del Parlamento che non è mai stata richiesta. A quel punto, inoltre, le Camere potrebbero essere chiamate a valutare anche la compatibilità del Memorandum con il diritto internazionale. «Questo accordo – aggiunge infatti l’avvocata Crescini – ha effetti diretti sulla vita dei richiedenti asilo, perché rafforza le autorità libiche e rafforza le loro dotazioni, sia finanziarie che logistiche, per permettere loro di effettuare quei respingimenti che fino al 2011 venivano compiuti direttamente dalla Marina militare italiane. Ora lo Stato italiano delega la Libia a riprendersi in carico questi migranti e riportarli sulla terraferma, ma crediamo che il nocciolo dell’accordo sia illegittimo, contrario al diritto d’asilo e al divieto di respingimento in Paesi pericolosi come la Libia».

Oltre al nodo costituzionale e a quello internazionale, sull’accordo costruito dal ministro dell’Interno Minniti pesa un altro interrogativo: quale Memorandum potrebbe essere portato avanti dalla nuova maggioranza parlamentare, ancora tutta da costruire ma comunque di segno diverso rispetto alla precedente? Secondo l’avvocata Crescini i margini per un ulteriore irrigidimento della strategia migratoria italiana non ci sono: «l’Italia – spiega – è vincolata a principi costituzionali e internazionali estremamente chiari a cui anche la nuova maggioranza parlamentare non può derogare».